“Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” La guarigione di Naaman il Siro. Sermone di Elizabeth Green del 12 settembre 2021
2Re 5, 1-19
 

“Che devo fare per ereditare la vita eterna?” chiede il giovane ricco in un noto brano del vangelo. Una domanda che probabilmente non ci interessa e che forse non comprendiamo. Abbiamo già abbastanza problemi a vivere la vita qui e ora senza pensare a quella a venire. In questa domanda, “Che devo fare per ereditare la vita eterna?” la parola eterna non va intesa in termini di quantità bensì di qualità, una vita che vale la pena da vivere qui e ora. Secondo il noto teologo Moltmann, una vita veramente umana “è una vita approvata, accettata, interessata e piena”. Chi non vorrebbe    una vita di questo genere? Non è questo il desiderio che ci spinge ad alzarci la mattina, a darci da fare per arrivare a fine mese in modo che alla fine dei nostri giorni possiamo dire con il poeta Pablo Neruda, “Confesso di aver vissuto?” Non è la ricerca di una vita “approvata, accettata, interessata e piena” che spinge donne e uomini a rischiare la vita stessa, attraversando deserti, monti e mari pur di raggiungere un luogo dove credono che quella vita sia possibile?

Che cosa bisogna fare, allora, per aver una vita di questo genere?

Rispondiamo a questa domanda non a partire dall’episodio del giovane ricco bensì dalla storia di Naaman il Siro. Per comprendere questa storia bisogna  prestare attenzione al modo in cui vengono descritti personaggi, il loro paese di provenienza, il loro genere e status sociale. Inoltre, bisogna sapere che ogni tanto i siriani facevano incursioni armate in Israele.

Dall’inizio Naaman viene presentato come un uomo importante, capo dell’esercito, uomo forte e coraggioso che è tenuto in grande stima e onore a  corte. A prima vista la sua vita sembra approvata, accettata, interessata e piena. Possiamo immaginare che per Naaman la sua vita sia già abbondante. Eppure ha una tara, Naaman è affetto dalla lebbra, malattia ritenuta altamente contagiosa, inguaribile che a lungo andare sfigura il corpo lasciandolo menomato. Se ora tutto gli va a gonfie vele il futuro non gli promette niente di buono.

Ad essere in pena per lui è la serva di sua moglie, ragazzina israelita che era stata presa prigioniera. Non potendo rivolgersi direttamente a Naaman, dice alla sua padrona: “Oh se il mio Signore potesse presentarsi al  profeta che sta a Samaria! Egli lo libererebbe dalla sua lebbra!” Sarà pure una giovane schiava e straniera, ma sa qualcosa che Naaman con tutta la sua potenza militare non sa, vi è in Israele un uomo che lo può guarire. A testimoniare di un Dio in grado di infondere nuova vita nel grande comandante è una persona tenuta in poco conto, una mera schiava, oggi  potremmo dire una nostra badante o donna delle pulizie.

Per potersi recare in Samaria Naaman si rivolge direttamente al re di Israele in una trattativa tra pari, un accordo tra uomini. La guarigione di Naaman diventa un affare di stato. A Naaman vengono forniti denaro e regali. In gioco sta l’onore della Siria, e la Siria si appella all’onore di Israele. Ancora oggi si conducono le visite tra i potenti della terra nello stesso modo e il re di Siria scrive una lettera al re di Israele, (v. 6.)

Il re di Israele, però, è consapevole dei propri limiti. È anche piuttosto sospettoso. Prima Naaman attaccava il paese e ora viene portando doni.

Pensa che sia un trucco (v. 7). Ma per fortuna nei paraggi c’è il profeta, che  come aveva fatto la serva prima di lui, coglie al balzo la sfida, “Quell’uomo venga pure da me e vedrà che c’è un profeta in Israele”. Eliseo appartiene a  Dio e a Dio soltanto , è fuori i ranghi sociali e o giochi di potere.

Naaman, insieme a tutto il suo entourage arriva a casa del profeta. Ma Eliseo non si lascia minimamente impressionare di tutta questa pompa.

Anzi, non solo non riceve Naaman con i salamelecchi del caso ma non lo riceve affatto. Gli manda un messaggero. È uno smacco notevole alla dignità  del comandante. È un agire al di fuori di ogni protocollo e Naaman si offende. Non immaginava che sarebbe stato trattato così. Ma c’è uno secondo smacco in arrivo, le istruzioni che riceve da Eliseo -di lavarsi sette volte nel Giordano – non gli sono affatto gradite.

Siamo al momento clou della storia. Naaman si era aspettato un’accoglienza del tutto diversa, innanzitutto che Eliseo avrebbe riconosciuto e affermato la sua importanza come uomo stimato, come emissario  del re. Immaginava che il profeta avrebbe condotto un qualche rito appariscente, che avrebbe invocato il suo Dio e in questo modo che lo avrebbe guarito. Ma andare a bagnarsi sette volte in quello sputo di fiume qual era il Giordano come se non ci fossero fiumi in abbondanza nel suo paese è un vero e proprio preso in giro. “Non potrei lavarmi in quelli ed essere guarito?” si chiede. E Naaman voltatosi se ne andava infuriato.

Perché Naaman si arrabbia e se ne va? Lui è alla ricerca di qualcosa, la guarigione, che renderà la sua vita davvero piena e luminosa. È alla ricerca ma pensa di poter dettare le condizioni della risposta, anzi la risposta stessa. Infatti, non è lui il comandante abituato a dettare ordini e condizioni ai quali altri devono ubbidire senza fiatare? Il problema di Naaman, quindi, è di pensare che a causa del suo rango, della sua professione, della sua abilità, egli meriti una risposta diversa da quella che gli ha dato Eliseo. Lui non va dal profeta con una richiesta ma con delle  pretese.

Per salvare la situazione intervengono, come prima aveva fatto la serva, i servi di Naaman (v. 13.) Loro comprendono benissimo che chi chiede  qualcosa, chi cerca qualcosa, non può avere già la risposta in tasca. Il discorso dei servi mette a nudo un problema di fondo, rivela ciò che ci impedisce di avere la vita eterna. Gesù, infatti, equipara la vita abbondante alla vita eterna “io do loro la vita eterna”, e altrove, “chi crede in me ha la vita  eterna”, “chiunque contempla il Figlio e crede in lui ha la vita eterna”. Che cosa doveva fare Naaman? lasciare indietro le sue pretese, dimenticare la sua importanza, credere alle parole del profeta e fare ciò che gli aveva detto,  bagnarsi sette volte nel Giordano. Anche il giovane ricco, vi ricordate, non doveva fare niente. Doveva solo liberarsi dalle ricchezze che gli intralciavano il cammino e seguire Gesù.

Vogliamo disperatamente fare qualcosa per aver la vita eterna.

Vogliamo così tanto avere o essere qualcosa che ce ne rende degni che dettiamo noi le condizioni della nostra guarigione fisica, spirituale, psicologica e finiamo per rifiutare il dono che ci viene offerto. I servi, invece,  non avendo niente da mettere sul tavolo delle trattative, avevano compreso benissimo che la vita nella sua abbondanza e pienezza può solo essere accolta come dono.

Naaman dà loro retta e viene guarito e sebbene non sia accaduta come se l’era immaginata, lui sa che la sua guarigione è dono di Dio (v. 15.).  Qui Naaman diventa consapevole di ciò che noi già sapevamo. Perché all’inizio della storia leggiamo che era per “mezzo di lui che il Signore Dio aveva reso vittoriosa la Siria”. Già dall’inizio vediamo che le capacità del comandante provenivano da Dio che attraverso di lui conduceva la storia.

Che cosa poteva mai fare valere davanti a Dio che non avesse già ricevuto da  Dio?

Essendo un comandante, Naaman è abituato a vedere in avanti, a prevedere le circostanze e prepararsi per esse. E ora che ha riconosciuto pubblicamente che Dio è Dio, si pone il problema di come continuare ad essergli fedele. Quando torna in Siria, come farà a adorare il  Dio di Israele?      Naaman è ancora legato all’idea che ogni Dio ha la propria area di competenza, il proprio territorio. Per poterlo adorare in Siria, chiede di poter portare della terra d’Israele. Ha compreso che bagnarsi nel Giordano è solo l’inizio di un percorso. Esattamente come il battesimo segna solo l’inizio di un percorso alla sequela di Cristo, come anche  traspare dalla successiva domanda.

Poiché il Dio che lo ha guarito è il Signore Dio di tutta la terra, da ora in poi offrirà sacrifici solo a lui. Ma essendo al servizio del re dovrà accompagnarlo nel tempio di Rimmon e poiché il re si appoggia al suo braccio, sarà costretto a prostrarsi anche lui. “Voglia il Signore perdonare a me tuo servo, quando mi prostrerò così nel tempio di Rimmon”. In questa seconda richiesta troviamo gli scrupoli di quegli israeliti che -come la ragazzina che abbiamo incontrato all’inizio- erano costretti a servire padroni pagani. La risposta di Eliseo è estremamente liberante. Che Naaman  non si preoccupi, non si faccia scrupoli: Naaman che si è immerso sette volte nel Giordano, è stato guarito da Dio dentro e fuori, sotto e sopra. Possiamo dire che la sua vita è “una vita approvata, accettata, interessata e piena”, una vita  piena di Dio. Può andare in pace. Può andare in pace come la donna che Gesù   guari dal flusso di sangue, può andare in pace, come Simeone che aveva visto  il piccolo Gesù futuro messia di Israele, può andare in pace come la donna che durante un banchetto unse i piedi di Gesù.

Naaman, ormai libero della lebbra, ha cambiato modo di stare al mondo. Invece di essere colui che comanda, è colui che supplica. Non può pretendere alcunché da Dio né dal profeta. Può solo supplicare, fiducioso, ed Eliseo lo assicura, lo afferma, lo accetta e accoglie la sua supplica. La grazia che egli  ha ricevuto, la vita abbondante che ha ricevuta e di cui è diventato consapevole è sua, in tutte le circostanze. Ora può andare in pace.

La vita eterna è “vita ripiena della presenza di Dio nel Cristo risorto e nelle energie vitali dello Spirito”. Come averla? La storia che abbiamo ascoltato stamattina celo insegna. Rivela che la vita “approvata, accettata, interessata e piena”, la vita che ogni uomo e ogni donna, ogni bambino e bambina desidera, è un dono che basta ricevere. Ciò che ci impedisce di ricevere quel dono è dentro di noi, ciò che ci porta a respingere il dono e andarcene adirati è dentro di noi. Ma Dio può sciogliere quel nodo come ha sciolto tutte le obiezioni e reticenze di Naaman nel Giordano, può farci uscire  dal fiume della vita per camminare in novità di vita, vita abbondante, vita piena, vita eterna. Stamattina ognuno e ognuna di noi, seguendo l’esempio di Natan, può sentire le parole “Va in pace” ed essere assicurati di una vita piena, abbondante, ed eterna che solo Dio può dare.

 

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