Cagliari e Sulcis Iglesiente
23 gennaio 2022
Come morire
di ELIZABETH GREEN
È un Gesù che da un lato sembra quasi onnipotente capace di una perfezione a noi impensabile. Dall’altro mostra uno straordinario senso dei propri limiti, per il fatto che l’opera per la quale Dio l’ha mandato non finisce con lui ma sarà portata avanti dei suoi discepoli e da coloro che nel futuro crederanno nel suo nome
“Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai data da fare”
1 Gesù disse queste cose; poi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, l’ora è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 2 poiché gli hai dato autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dati. 3 Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 4 Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai data da fare. 5 Ora, o Padre, glorificami tu presso di te della gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse.
6 Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 7 Ora hanno conosciuto che tutte le cose che mi hai date, vengono da te; 8 poiché le parole che tu mi hai date le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute e hanno veramente conosciuto che io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 9 Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi; 10 e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; e io sono glorificato in loro. 11 Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, quelli che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 12 Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 13 Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia gioia. 14 Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 15 Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 16 Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17 Santificali nella verità: la tua parola è verità. 18 Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo. 19 Per loro io santifico me stesso, affinché anch’essi siano santificati nella verità.
20 Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 21 che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. 22 Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 23 io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li hai amati come hai amato me. 24 Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo. 25 Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 26 e io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro»
Giovanni 17
Già dalla prima pagina del vangelo di Giovanni si sa che le cose non finiranno bene per Gesù. Non è ancora venuto nel mondo e si dice che “il mondo non lo ha conosciuto e i suoi non lo hanno ricevuto”. Tuttavia, è solo al capitolo 12 che a Gesù la cosa comincia a pesare; Ora l’animo mio è turbato e che dirò, Padre salvami da quest’ora? Ma è per questo che sono venuto incontro a quest’ora. Quando muore, però, (e siamo al capitolo 19), il suo turbamento è scomparso. Anzi, la sua è, secondo Giovanni, una morte piuttosto serena, “Quando Gesù ebbe preso l’aceto, disse “E’ compiuto!” E chinato il capo rese lo spirito. Non c’è nessun grido angosciato, nessun senso di abbandono. Il cielo non si oscura e la terra non trema. Anzi alcune donne e il discepolo amato rimangono con lui fino alla fine sotto la croce.
Quindi la domanda che mi faccio è: che cosa ha permesso Gesù di vincere il suo turbamento e di affrontare una morte terribile in modo sereno? Gesù, può essere un esempio e un aiuto per noi nell’ora della morte? Ma, sento qualche obiezione, Gesù era Dio. Per lui tutto era più facile. Forse qualcuno si ricorda il versetto che abbiamo letto domenica scorsa: C’è un solo Dio e un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo che ha dato la sé stesso come prezzo di riscatto per tutti. Avete sentito? Il testo non dice Cristo Gesù ma specifica “Cristo Gesù uomo – ovvero essere umano”. Ed è proprio il vangelo di Giovanni, che all’inizio dice che la Parola che è luce e vita, si è fatta carne, è diventata umana e ha abitato per un tempo fra di noi. La morte di Gesù, quindi, è una morte umana, morte che possiamo dire ha lasciato come esempio, come possibilità per noi.
Cerchiamo allora di rispondere alla domanda, che cos’è successo tra il turbamento del capitolo 12 e le parole del capitolo 19 È compiuto!” E, chinato il capo, rese lo spirito. Come mai non c’è nessuna traccia dell’angoscia che aveva espresso prima e che in qualche modo Marco e Matteo riportano?
Troviamo la risposta al capitolo 17 che abbiamo letto. Infatti, dopo aver annunciato la sua morte al capitolo 12, Gesù si ritira con i suoi discepoli e li prepara per la sua partenza. Attraverso la lavanda dei piedi insegna loro come devono comportarsi, la legge che deve governare la comunità: Vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io. Li consola dicendo che è meglio che lui se ne vada, perché così può mandare il Consolatore, lo Spirito che li guiderà in ogni verità. Infine, promette persino di tornare a prenderli per poter accoglierli presso di lui affinché dove sono io, siate anche voi. Certo, non sarà facile per loro come non è stato facile per lui, ma conclude, fatevi coraggio, io ho vinto il mondo. Sono le ultime parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli prima di fare che cosa? Pregare: Gesù disse queste cose, poi alzati gli occhi al cielo, disse “Padre, l’ora è venuta glorifica tuo Figlio”. In altre parole, prima del suo arresto, Gesù porta a termine i giorni passati con i discepoli e le discepole in preghiera.
E penso che questa preghiera sia la chiave per comprendere perché Gesù è stato in grado di andare incontro alla morte in modo sereno. In essa egli fa fondamentalmente due cose. Dà conto a Dio della sua vita, si presenta per così dire a Dio, e prega per i suoi seguaci affidandoli a Dio. Guardiamole una alla volta.
La prima cosa che fa Gesù in questa preghiera è dare conto a Dio di ciò che ha fatto della sua vita, dicendo di aver portato a termine il compito che gli era stato affidato “Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dato nel mondo”. “Le parole che tu mi hai date le ho date a loro” “Li ho conservati nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati e li ho anche custoditi “e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione”. Possiamo dire che Gesù, da buon pastore, prima di dare la sua vita per le pecore le ha chiamate, raccolte e mantenute unite. Gesù non solo ha fatto queste cose ma facendole era consapevole che così stava adempiendo il suo mandato, rispondendo alla sua vocazione Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai data da fare.
Non sono parole meravigliose? Davanti a Dio e nella presenza dei discepoli e delle discepole Gesù raccoglie tutte le fila della sua vita e con grande tranquillità dice “ho compiuto l’opera che tu mi hai dato da fare”. Da queste parole vediamo che Gesù era perfettamente consapevole del proprio mandato, aver compresa l’opera che Dio gli aveva affidata.
Se prendiamo un attimo in considerazione i vangeli sinottici, Matteo, Marco e Luca scopriamo che raccontano in modo diverso gli ultimi giorni di Gesù. Eppure, nei giorni subito prima del suo arresto Gesù racconta una serie di parabole che hanno più o meno lo stesso messaggio, un padrone di casa che se ne sta andando, ma che prima di andarsene affida ai suoi servi dei compiti precisi, o distribuisce dei talenti e poi se ne va. A un certo momento, però torna e scopre che mentre alcuni servi stanno svolgendo fedelmente i loro compiti o i talenti sono stati investiti, altri non ne hanno fatto niente e i servi si sono messi a fare baldoria. Quando arriva il padrone, però, ognuno darà conto di ciò che ha ricevuto o dell’opera che gli era stata data da fare. E esattamente ciò che Gesù fa in questa preghiera, “ho compiuto l’opera che tu mi hai dato da fare” mostra che è possibile comprendere lo scopo della propria vita, e svolgere il compito che a ciascuno e ciascuna di noi è stato affidato. È possibile – dice Gesù in questa preghiera – portare a termine, terminare la propria vita con un senso di compiutezza.
È stupefacente quante volte Gesù dice “io” in questa preghiera, “io”, “io” “io”. Cosa ha detto, cosa ha fatto. È normale, parla di sé e della sua vita giunta quasi a termine, una vita spesa per salvare il mondo, una vita data come prova di un amore incommensurabile per i suoi amici: nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici. È come se facendo ciò avesse scoperto l’essenza di sé stesso che ora presenta al Padre. Se da una parte, quindi, Gesù è consapevole di aver svolto il suo mandato, dall’altra sa che il suo mandato non termina con lui. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo. In altre parole, Gesù mostra una straordinaria autosufficienza – io, io, io – e un’altrettanta straordinaria insufficienza.
Tra qualche giorno Gesù morirà e verrà privato del suo futuro. Tuttavia, sa che il futuro per il quale si è adoperato avrà luogo grazie ai suoi discepoli. Sa che l’opera che egli ha messo in moto andrà avanti senza la sua presenza terrena, nella sua assenza. Perciò lui prega per gli uomini e le donne che Dio gli ha affidato. Perciò io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi… Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo ma che tu li preservi dal maligno E lo sguardo di Gesù non si ferma alle donne e agli uomini che gli sono davanti a Maria e Marta e Lazzaro e Pietro e Andrea e Filippo, ma guarda ancora più avanti: non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della sua parola.
Questa preghiera tesse insieme due lati dell’umano. Da un lato uno straordinario senso di compiutezza, la consapevolezza di aver conseguito il risultato previsto, di aver compreso e raggiunto lo scopo della propria vita. È un Gesù che sembra quasi onnipotente capace di una perfezione a noi impensabile. Dall’altro, uno straordinario senso dei propri limiti, del fatto che l’opera per la quale Dio l’ha mandato non finisce con lui ma sarà portata avanti dei suoi discepoli e da coloro che nel futuro crederanno nel suo nome. Gesù, dunque, si rivela consapevole non solo del suo compito ma anche dei limiti del suo compito, lui non doveva fare tutto, doveva fare il suo, e ora affida a Dio coloro che lo porteranno avanti. Poiché Gesù sa di aver fatto ciò per cui è stato mandato, la sua vita effettivamente può terminare, può morire in pace. Ma può morire in pace perché accoglie e accetta i suoi limiti, egli non deve fare tutto, subentrano gli altri e le altre e gli altri e le altre ancora. Il futuro della sua opera è in buone mani perché è nelle mani di Dio al quale lui affida i suoi. Giunto a questo punto, egli può effettivamente andarsene, può lasciare i suoi perché attraverso di loro e grazie alla sua preghiera il mondo crederà che Dio lo ha mandato. Sembra che nell’ultima parte di questa preghiera Gesù voglia avvolgere i suoi discepoli e discepole amici e amiche in un grande abbraccio per farli, per farci comprendere e sentire l’amore che Dio nutre per loro e che egli ha manifestato, cosicché il mondo comprenda l’amore di Dio: Io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro e io in loro.
Che possiamo dire? La preghiera di Gesù offre una straordinaria chiusura a una vita vissuta e compiuta ma offre anche una straordinaria apertura alla vita di coloro che verranno dopo di lui. C’è un solo Dio e un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo che ha dato la sé stesso come prezzo di riscatto per tutti. Il messia Gesù, uomo, essere umano come noi che in questa preghiera dice a Dio “Ma ora io vengo a te”. Nei giorni prima Tommaso gli aveva detto “Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo sapere la via?”. Ecco, Gesù in questa preghiera la via ce la mostra, la via ce la apre semplicemente perché Egli è la via, la sua vita e la sua morte ci porta a Dio. Al capitolo 17 siamo quasi alla fine della strada e Gesù ha ancora qualcosa da manifestarci. Ci ha insegnato come vivere, ora ci insegna come morire intrecciando insieme un senso di compiutezza con un sano senso di limite.
Certo, sono cose alle quali preferiremmo non pensare. Eppure, dopo due anni pieni di pandemia è difficile, seppur non lo ammettiamo, che il nostro animo non sia turbato. E anche senza pandemia siamo consapevoli che da un momento a un altro può giungere la nostra ora. Oggi ho voluto suggerirvi che queste parole di Gesù ci offrono una possibilità di andare incontro alla fine in modo sereno, in modo che anche noi possiamo dire, prima di chinare il nostro capo e rendere lo spirito, “E’ compiuto”. Abbiamo fatto ciò per cui siamo stati mandati nel mondo. Amen
Elizabeth Green
Grazie per questa parola e per questo brano cosi’ intenso e stupefacente.
Sono stata testimone del modo sereno in cui mia madre ha lasciato questa terra, ero li’ al suo ultimo respiro, assicurandola che il Signore la stava aspettando.
Le sue ultime parole sono state:
Potevo fare di meglio? Io le ho ricordato le sue meravigliose imprese d’amore.
Gli ultimi minuti mi ha detto: Me ne vado dimmi che ora e’.
Mi ha voluto lasciare l’ora dell’addio che ho nel cuore sempre.
Si può morire con il conforto di aver compiuto tutto il possibile.
Grazie di cuore Elisabet.
Grazie Elisabet.
Ho assistito agli ultimi momenti di una suora, ero sua vicina di letto in ospedale.
Non poteva muoversi, grave e con sacche di spurgo.
Mi sono avvicinata e con un fil di voce mi ha detto: non ho paura di morire, dammi da bere.
L’ho fatto, le ho preso le mani ed ho pregato. La notte ha cessato di respirare.
Non e’ stata l’unica, ed ogni volta la preghiera ha accompagnato chi stavo salutando, in un’occasione c’erano dei parenti scettici verso me, ma la malata mi cercava, quindi non sono mancata. La preghiera ha cambiato la loro disposizione verso di me.
Con mia madre e’ stato diverso:
– me ne vado che ora e’?
Mi ha lasciato l’ora nel cuore.
Grazie mille per questa preghiera di Gesù’ vista in modo così totale per noi.