Con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati

1 Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera a Dio per loro è che siano salvati. 2 Io rendo loro testimonianza, infatti, che hanno zelo per Dio, ma zelo senza conoscenza. 3 Perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio; 4 poiché Cristo è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono.
5 Infatti Mosè descrive così la giustizia che viene dalla legge: «L’uomo che farà quelle cose vivrà per esse». 6 Invece la giustizia che viene dalla fede dice così: «Non dire in cuor tuo: “Chi salirà in cielo?” (questo è farne scendere Cristo), né: 7 “Chi scenderà nell’abisso?” (questo è far risalire Cristo dai morti)». 8 Che cosa dice invece? «La parola è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore». Questa è la parola della fede che noi annunciamo; 9 perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; 10 infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. 11 Difatti la Scrittura dice:
«Chiunque crede in lui, non sarà deluso».

Romani 10, 1-11

 

I testi sacri non pongono mai in questione l’esistenza di Dio. Dio, si può dire è il loro presupposto dall’inizio “Nel principio, Dio” dice la Genesi. Nelle scritture, troveremo un po’ di tutto, ma mai ragionamenti che cercano di provare l’esistenza di Dio.

La domanda, quindi, è piuttosto un’altra, come conoscere Dio? A questa domanda la tradizione ebraico cristiana dà una risposta molto chiara. Noi possiamo conoscere Dio perché Dio stesso ha parlato. “Dio” – dicono i primi versetti della lettera agli Ebrei “dopo aver parlato anticamente in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Dio stesso è uscito dal suo silenzio e ha parlato. Le scritture, dunque, non sono che una risposta alla parola che Dio ha pronunciato per primo. Ed ecco la conclusione che trae il vangelo di Giovanni “Nel principio era la Parola e la Parola era Dio”.

Possiamo dire, quindi, che se noi parliamo, preghiamo, cantiamo degli inni o, come Abramo, usciamo dal nostro paese e dal nostro parentado per recarci in un paese lontano, è semplicemente e solo perché Dio ci ha parlati per primo. Dio ci ha interpellati. Ma Dio quando ha parlato, che cosa ha detto? E la sua parola dove la possiamo trovare?

I due versetti che abbiamo appena citato rispondono alla prima di queste domande “in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio” risposta radicalizzata dal vangelo di Giovanni che scrive, “la Parola – quella del principio – è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi”. Detto diversamente: Gesù è la Parola che Dio pronuncia quando rompe il suo silenzio. Quindi, se noi vogliamo sapere che cosa dice Dio non dobbiamo che guardare Gesù.

All’inizio del vangelo di Giovanni, dopo il prologo, incontriamo Giovanni Battista che battezza nel Giordano – e vedendo arrivare Gesù – lo indica a due suoi discepoli “Ecco l’Agnello di Dio”. “Gesù voltandosi, e osservando che lo seguivano, domandò loro “Che cercate?” Ed essi gli dissero “Rabbì, dove abiti”? Ecco la nostra seconda domanda. Dove abiti? Oppure: dove trovare la Parola che Dio ha detto?

E così arriviamo al brano che guida le nostre riflessioni oggi, nel quale l’apostolo Paolo, discute il ruolo di Israele nell’economia divina. Com’è sua abitudine contrasta la giustizia che viene dalla legge con quella che viene dalla fede. È importante sapere che questa distinzione esiste già nelle stesse scritture ebraiche. A noi, però, interessano i versetti dal 6 in avanti che riguardano la nostra seconda domanda: dove trovare la Parola che Dio ha detto.

Per rispondere, l’apostolo cita l’antico libro del Deuteronomio (30, 11-14) “Non dire in cuor tuo: Chi salirà in cielo?” oppure “Chi scenderà nell’abisso”. Di che cosa sta parlando? Sta parlando del tentativo umano di arrampicarsi fino in cielo, ovvero raggiungere Dio attraverso le varie pratiche religiose che conosciamo, la preghiera, il sacrificio, il rito religioso, il pellegrinaggio come se dovessimo trascinare giù la Parola, farla scendere con le nostre forze. Allo stesso tempo si riferisce al tempo e l’energia che impieghiamo nel cercare di penetrare i segreti più reconditi della divinità, come se dovessimo noi scendere nell’abisso della sapienza divina, come se dovessimo con i nostri soli sforzi fare l’impossibile ovvero “far risalire Cristo dai morti”. In altre parole, Paolo sta dicendo che la Parola diventa carne non grazie a noi e che Cristo risorge dai morti non grazie agli esseri umani bensì allo Spirito divino.  Sarebbe una follia pensare che uomini e donne potessero agire in questo senso.

Se questa è la risposta negativa: “non dire in cuor tuo” qual è la risposta positiva?  Dov’è la parola che Dio, quando rompe il suo silenzio, pronuncia? Dove abita? Ecco la risposta sorprendente: “La parola è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore”. Non è stupefacente?

Dio ha parlato anticamente in molte maniere per mezzo dei profeti; a un certo momento quella Parola è venuta nel mondo, è diventata carne e ha abitato per un tempo tra noi, ma il mondo non l’ha conosciuto. Conoscete bene la storia, è stato crocifisso ma “dopo alcuni giorni alcune donne erano andate al sepolcro, non hanno trovato il suo corpo, e sono tornate dicendo di aver avuto una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo” (Lc 24, 22s). Ma ora dove trovarlo?

“La parola” dice Paolo “è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore” E questa è la parola della fede che noi annunziamo, la parola che è diventata carne ed è morta e risorta per noi e che si chiama Gesù.  Gesù è la parola “nella tua bocca e nel tuo cuore” ma che cosa dice?

Allora oggi vorrei suggerirvi che quella Parola vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore pronuncia il tuo nome. Si rivolge a te chiamandoti per nome. Torniamo un attimo al vangelo di Giovanni, Andrea che era uno dei discepoli che erano andati a vedere dove abitava Gesù, gli porta poi suo fratello, Gesù lo guardò e disse “Tu sei Simone”.  Lo chiama per nome. E alla fine della storia, a una delle donne che era andata a cercare la salma del suo signore, il risorto che cosa le dice?  “Maria”, la chiama per nome. E non è forse ciò che Dio fa lungo tutte le scritture, chiamare donne e uomini per nome? “Mosè, Mosè”, “Samuele, Samuele”, “Maria”

E chissà quante volte Dio aveva parlato a Mosè e Mosè non aveva ascoltato tant’è che il Signore deve inventare la trovata del pruno ardente per farsi ascoltare. E chissà quante volte aveva cercato di catturare l’attenzione di Maria, ma lei sconvolta del dolore pensava che a parlarle fosse l’ortolano? E la stessa cosa non succede forse a noi? Che possiamo passare anni a cercare di salire in cielo per far scendere Dio e anni a scendere nell’abisso per farlo risalire dagli abissi solo per scoprire, un giorno che, incredibile, la parola è vicina a te, nella tua bocca e nel tuo cuore. E quella parola dice una cosa sola, il tuo nome e attende una risposta. Oppure per usare un’altra immagine sempre dal vangelo di Giovanni (cap. 10), è il pastore che apre la porta dell’ovile, e “le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori”.

Sì, perché aver sentito nel cuore la voce che ti chiama per nome è solo l’inizio. Quella parola deve uscire fuori. Come Dio lungo i secoli ha parlato per mezzo dei profeti e poi finalmente in Gesù ha gridato forte, anche noi dobbiamo – a un certo momento – rompere il nostro silenzio. Quella parola che è nel nostro cuore, al quale abbiamo dato retta, deve essere pronunciata. Deve fare un viaggio, deve attraversare quel passaggio segreto, dal cuore alla bocca. Deve venire all’aperto. Quanto tempo ci vorrà? Un secondo, come nel caso di Maria Maddalena- “Maria”, dice Gesù, “Rabbunì” risponde la donna- o forse mesi e anni come nel caso di Simon Pietro?

Penso che oggi Anna e Gian Mario ci diranno qualcosa a proposito, perché nel loro caso la Parola non è qualcosa che è piombata addosso folgorandoli come Paolo sulla strada di Damasco. È piuttosto un seme piantato anni fa nel proprio cuore, una parola pronunciata, una chiamata ricevuta, una risposta data che oggi trova parole “perché, è questo è il punto… se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. Difatti la Scrittura dice: Chiunque crede in lui, non sarà deluso”.

E penso che stamattina molti e molte di noi, potranno sì alzarsi in piedi e semplicemente testimoniare “chi sol confida nel Signore confuso mai potrà restare”. Ed è questa la promessa che – in seguito alla vostra confessione di fede – vi accompagna stamattina. Sono le parole che Dio ha detto tantissimi anni fa per mezzo del profeta Isaia “Chiunque crede in lui non sarà deluso”.

E potremmo anche terminare qui, perché è importante parlare, proclamare e annunciare ma è altrettanto importante saper tacere. Tuttavia, rimane ancora qualcosa da dire, qualcosa che Paolo ha ommesso, un pezzo della citazione del Deuteronomio che è rimasto in sospeso.

Ho suggerito che il movimento dalla fede nel cuore alla confessione con la bocca assomiglia alla pecora che sentendo la voce del pastore, esce dal recinto. L’immagine prosegue “Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce”. In altre parole, la confessione con la bocca è solo un’altra tappa in un processo che continua perché il versetto prosegue “Questa parola è molto vicina a te; è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.

Le pecore uscite dall’ovile seguono la Parola che le guida, parola che va messa in pratica per diventare concreta nella nostra vita.  “Infatti, col cuore, si crede, con la bocca si fa confessione, e con i piedi si incammina dietro a Gesù facendosi prossimo a chi è nel bisogno. Cristo è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono, e questo significa seguire le sue orme,  dar corpo alle sue parole, non solo ascoltare e confessare la sua parola ma metterla anche in pratica

Care sorelle e cari fratelli, amici e amiche, Oggi le parole dell’apostolo Paolo che abbiamo letto diventano corpo nella vita di Anna e Gianmario che avendo scoperto che la parola è vicina a loro, nella loro bocca e nel loro cuore, e avendo creduto col cuore ora confessano con la bocca che Gesù che Dio ha risuscitato dai morti è il Signore. La promessa per loro, come per tutti che hanno seguito o seguiranno il loro esempio è che “Chiunque crede in lui, non sarà deluso” Così sia. Amen.

 

Elizabeth E. Green

Vuoi condividere questa pagina?

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *