Cagliari e Sulcis Iglesiente
Giornata per superare l’omobitransfobia 2021 Giovanni 15, 12-17
(Cagliari, 16 maggio 2021)
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. 13 Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici. 14 Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando. 15 Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio. 16 Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia. 17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Che cosa c’è da aggiungere? Dopo aver pronunciato queste parole Gesù comincia a fare delle distinzioni? Dice quali persone amare e quali no? Ovviamente no! Lo scandalo del cristianesimo consiste proprio nel fatto che Gesù non faceva discriminazioni di questo tipo. Al contrario, ama soprattutto coloro che all’epoca non erano considerati degni dell’amore, i pubblicani, i peccatori, le prostitute.
Gesù, dunque, non dice di amare come ci pare e piace ma – come io ho amato voi. Escludere altri e altre dall’amore che Gesù richiede per qualsiasi motivo – di genere, di sessualità, di razza, di condizione fisica – significa semplicemente escludere noi stessi dall’amore di Dio. Vuole dire non renderci conto che siamo noi in primis ad aver bisogno del suo amore. Il problema, l’unico problema di questo comandamento è che non lo mettiamo in pratica.
In altre parole, il problema non sono gli altri e le altre – di cui abbiamo paura e perciò discriminiamo. Il problema siamo noi. La prima frase positiva è seguita nel nostro testo da tre proposizioni negative. Messi insieme declinano la grandezza dell’amore di Dio. Dopo aver comandato ai suoi seguaci di amare come ha amato lui afferma: Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi Amici. L’apice dell’amore è raggiunto dalla croce. La croce di Gesù, però, non è che la conclusione logica di una vita vissuta per altri e continuamente data per altri e altre. Gesù non si è fermato davanti a niente pur di cercare e di salvare le persone perdute. Le parabole della pecora smarrita (Lc 15) e della moneta ritrovata ce lo insegnano. Gesù faceva distinzioni tra le persone che amava? No. È morto per la donna con il flusso di sangue come è morto per il centurione romano in pena per il suo schiavo. È morto per colui che alla fine lo ha tradito come è morto per i farisei che gli mettevano i bastoni tra le ruote.
Nessuno ha amore più grande di questo, afferma Gesù, e noi siamo chiamati ad amare nello stesso modo. Gesù, come chiama le persone per le quali ha dato la sua vita, la donna col flusso di sangue, il centurione in pena per il suo schiavo, colui che lo ha tradito e coloro che gli hanno messo i bastoni tra le ruote? I suoi amici.
Nessuno ha amore più grande di quello che dà la sua vita per i suoi amici. E se i discepoli e le discepole che lo stavano ascoltando non avessero compreso egli ripete Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando. Voi siete miei amici.Dopo queste parole, possiamo dividerci in amici e nemici? Possiamo discriminare le persone per le quali Gesù diede la sua vita? Significherebbe discriminare noi stessi!
Con questa affermazione dell’amicizia Gesù non ha ancora finito. Ecco la seconda frase. Io non vi chiamo più servi; perché il servo non sa quello che fa il suo signore, ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udito dal Padre mio. Nelle scritture Dio spesso viene immaginato come un re, o un padrone celeste mentre Israele è visto come il suo servo.
Qui Gesù si distanzia da questo modello. Non vi chiamo più servi ma vi ho chiamati amici. Non ci chiama più servi perché egli ha capovolto le cose. Ha assunto lui la posizione di servo lavando i piedi ai discepoli. In quell’occasione (Gv 13) Pietro è così scandalizzato che gli dice Tu Signore, lavare i piedi a me? Dopodiché Gesù è costretto a spiegare Vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io… il servo non è maggiore del suo signore . Ora, però, non li chiama più servi bensì amici.
In altre parole, stabilisce con loro un nuovo tipo di rapporto, un rapporto reciproco. Lui ha fatto conoscere le cose che ha udito dal Padre e loro – i discepoli e le discepole – usando il nome di Gesù parleranno e faranno conoscere le loro richieste al Padre. La relazione con Dio diventa una conversazione tra persone amiche. Allora, se Gesù ha eliminato il ruolo di servo, com’è che si continua a trattare altre persone come se fossero inferiori?
E arriviamo alla terza frase negativa. Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate a portiate frutto e il vostro frutto rimanga. È una frase grandiosa! Perché? Perché pensiamo di essere noi padroni della nostra vita. Pensiamo di essere noi gli autori e le autrici della nostra storia. Che dirigiamo noi gli eventi che ci riguardano. Che ci diamo una pacca sulle spalle per essere qui stamattina, membri di chiesa da chissà quanti anni. Vi illudete, dice Gesù. Non siete voi che avete scelto me ma sono io che ho scelto voi. Questa frase che sembra togliere ogni nostra libertà è, al contrario, liberante.
Infatti, ciò che distingue l’amicizia da altre forme di relazione è che è volontaria. Siamo servi per nascita o per necessità. Siamo fratelli e sorelle per sangue o a causa della legge. Invece gli amici e le amiche li scegliamo. E qui è Gesù che ci sceglie. Non siete voi che avete scelto me ma sono io che ho scelto voi. Di solito scegliamo come amici e amiche persone di cui abbiamo stima, sulle quali sappiamo di poter contare. Gesù dunque sceglie delle persone che stima e sulle quali sa di poter contare. Per fare che cosa?
Come spesso nelle scritture, si torna all’inizio del brano per ripeterne l’idea: ovvero per portare del frutto, e il frutto che abbiamo in mente è amarci gli uni gli altri, come io ho amato voi.
Per parlare della nostra relazione con Dio e con Cristo le chiese hanno preferito usare parole connotate da sistemi sociali basati sul sangue “figlio e figlia” o sul rango “servo”. Ma qui Gesù spazza via i sistemi classisti e ci chiama amici. E se Gesù ci ha scelti come amici e amiche è perché Egli pensa che donne e uomini come noi, per i quali lui ha dato la sua vita sono in grado di vivere in amicizia con lui e gli uni con gli altri.
Sinceramente non penso che ci sia altro da aggiungere. Davanti alle parole così chiare, schiette e radicali di Gesù, non può esistere la paura dell’altro, non può esistere la discriminazione, la omobitrasnfobia non ha ragione di esistere.
Ma vi invito a fare un esperimento. Che ognuno e ognuna rifletta sul fatto che lui o lei non ha scelto Gesù ma Gesù ha scelto ognuno e ognuna di noi. Non vi chiamo più servi ma vi ha chiamato amici. E poi di dirigere la propria attenzione ad ogni persona presente, a chi conosciamo bene e a chi conosciamo meno e a pensare: lui o lei non ha scelto Gesù ma Gesù ha scelto lui. Ha scelto Paolino, ha scelto Gaia e via dicendo. E ci ha costituiti in questo luogo, in questo tempo. Ha dato la sua vita per noi i suoi amici e ci dice di fare altrettanto: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi.