Cagliari e Sulcis Iglesiente
È una grazia del Signore che non siamo stati completamente distrutti
(per la prima domenica dell’anno nuovo)
1 Io sono l’uomo che ha visto l’afflizione
sotto la verga del suo furore.
2 Egli mi ha condotto, mi ha fatto camminare nelle tenebre
e non nella luce.
3 Sì, contro di me di nuovo volge la sua mano
tutto il giorno.
4 Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle,
ha spezzato le mie ossa.
5 Ha costruito contro di me e mi ha circondato
di veleno e di affanno.
6 Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi,
come quelli che sono morti da lungo tempo.
7 Mi ha circondato di un muro, perché non esca;
mi ha caricato di pesanti catene.
8 Anche quando grido e chiamo aiuto,
egli chiude l’accesso alla mia preghiera.
9 Egli mi ha sbarrato la via con blocchi di pietra,
ha sconvolto i miei sentieri.
10 È stato per me come un orso in agguato,
come un leone in luoghi nascosti.
11 Mi ha sviato dal mio cammino, e mi ha squarciato,
mi ha reso desolato.
12 Ha teso il suo arco, mi ha posto
come bersaglio delle sue frecce.
13 Mi ha fatto penetrare nelle reni
le frecce della sua faretra.
14 Io sono diventato lo scherno di tutto il mio popolo,
la sua canzone di tutto il giorno.
15 Egli mi ha saziato d’amarezza,
mi ha abbeverato d’assenzio.
16 Mi ha spezzato i denti con la ghiaia,
mi ha affondato nella cenere.
17 Tu mi hai allontanato dalla pace,
io ho dimenticato il benessere.
18 Io ho detto: «È sparita la mia fiducia,
non ho più speranza nel SIGNORE!»
19 Ricordati della mia afflizione, della mia vita raminga,
dell’assenzio e del veleno!
20 Io me ne ricordo sempre,
e ne sono intimamente prostrato.
21 Ecco ciò che voglio richiamare alla mente,
ciò che mi fa sperare:
22 è una grazia del SIGNORE che non siamo stati completamente distrutti;
le sue compassioni infatti non sono esaurite;
23 si rinnovano ogni mattina.
Grande è la tua fedeltà!
24 «Il SIGNORE è la mia parte», io dico,
«perciò spererò in lui».
25 Il SIGNORE è buono con quelli che sperano in lui,
con chi lo cerca.
26 È bene aspettare in silenzio
la salvezza del SIGNORE.
27 È bene per l’uomo
portare il giogo della sua giovinezza.
28 Si sieda solitario e stia in silenzio
quando il SIGNORE glielo impone!
Lamentazioni 3, 1-28
“Gioia, gioia luce e vita” abbiamo cantato sulle famose note di Beethoven, parole che non possono che evocare il luminoso annuncio dell’angelo “non temere, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà”. Eppure, possiamo veramente dire di cominciare questo nuovo anno nella gioia e nella luce? La luce non è forse andata via con gli angeli lasciandoci soli e impauriti nelle tenebre? Non iniziamo questo anno piuttosto sgomenti, paurosi, stanchi e arrabbiati? È il terzo anno di pandemia, la vaccinazione avrà attenuata la sua severità ma i contagi sono ancora molti, gli ospedali si riempiono, uomini e donne continuano a morire. In altre parole, la gioia promessa sembra infrangersi sulla bruta realtà dei fatti, la sofferenza dei malati e il dolore delle persone che hanno perso i loro cari
Una caratteristica della fede di Israele è che non teme di esprimere il dolore, la rabbia e il lamento. Anzi, non esita di accusare direttamente Dio delle proprie sofferenze. Il suo scopo non è di stampo filosofico; non cercare di risolvere la questione del male o di scagionare Dio dalle terribili sofferenze del mondo. Alle Scritture non interessano questioni teoriche di questo tipo. Il loro scopo è piuttosto esistenziale, ovvero aiutare il popolo a sopportare la sofferenza di cui la vita è costellata e di cui si sente vittima. Non solo un terzo dei salmi sono salmi di lamento, non solo il libro di Giobbe se ne occupa, ma c’è un breve libro – cinque capitoli in tutto – intitolato proprio Lamentazioni. Esso esprime il dolore per la distruzione di Gerusalemme lamentandosi della violenza che ha colpito la popolazione e della sofferenza che ha prodotto.
Il brano che abbiamo letto si concentra non tanto sulla città quanto sul singolo, l’uomo o donna qualunque che si presenta così: “Io sono l’uomo che ha visto l’afflizione”. È un testo complesso, con molteplici messaggi che non sempre collimano, che lascia in sospeso molte questioni. Non è certamente una pillola facilmente digeribile che aggiusta tutto, ma una testimonianza di fede in mezzo a un mondo andato in frantumi.
L’afflizione di cui parla è tanto fisica quanto spirituale. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, – dice l’uomo – ha spezzato le mie ossa. E un po’ più in là Mi ha fatto penetrare nelle reni le frecce della sua faretra. Qualcuno ce l’ha con lui, tant’è che l’ha saziato di amarezza e l’ha abbeverato d’assenzio. Questo uomo è stato preso di mira, è sotto attacco. Da che cosa? Dalla malattia stessa o da colui dal quale tutto dipende, Dio? Man mano che leggiamo capiamo che secondo la sua visione di fede l’uomo non può che addebitare la sua sofferenza a Dio stesso. Il male e il bene non procedono forse dalla bocca dell’Altissimo? dice.
Non solo Dio lo sta facendo camminare nelle tenebre e non nella luce ma ancora peggiore è l’isolamento che sperimenta, come se fosse murato vivo e senza cellulare, Anche quando grido e chiamo aiuto, egli chiude l’accesso alla mia preghiera. Nemmeno la preghiera riesce a superare la barriera che Dio gli ha costruito intorno. Gettato nello sconforto più estremo l’uomo confessa È sparita la mia fiducia, non ho più speranza nel Signore.
Siamo mai arrivati a un punto così nella nostra vita? Non so se avete fatto caso ma all’inizio della pandemia le chiese pregavano che la pandemia finisse. Il papa, vi ricordate, si è recato davanti ad immagini predisposte per chiedere la misericordia divina. Ultimamente, però, non si sente più niente di questo genere. Anzi, sembra che dobbiamo fare ciò che dice la seconda parte del brano: E bene aspettare il silenzio la salvezza del Signore, si sieda solitario e stia in silenzio quando il Signore glielo impone! Il Signore ce la impone? Da dove proviene il male? Abbiamo dibattuto questa domanda in una degli ultimi studi biblici, è possibile che dietro la distruzione di Gerusalemme ci sia Dio? Dio è responsabile della sofferenza umana? Eh… no, dicevano alcuni, questo Dio non lo accetto…
Ma torniamo al nostro brano. Il nostro uomo qualunque, che al v. 18 ha appena detto di non aver più speranza nel Signore, subito dopo (al v. 19) si rende conto di non aver così risolto il suo dramma. Infatti, non smette di appellarsi alla memoria divina come egli stesso richiama alla mente Dio. È una mossa che conosciamo bene dalle scritture, che Dio si ricordi di lui, che Dio si ricordi delle sue promesse esattamente come l’uomo si ricorda di Dio. Perché Dio e Israele hanno una storia condivisa. Esattamente come l’uomo non riesce a pensarsi senza Dio, Dio non riesce a pensarsi senza il suo popolo.
E l’uomo afflitto, che cosa richiama alla mente? Ecco le sue parole: è una grazia del Signore che non siamo stati completamente distrutti. Anche se l’uomo si sente più morto che vivo, non è stato completamente distrutto. Dio non ha spezzato definitivamente il filo che lega l’uomo a Dio e Dio all’uomo. Il lato oscuro di Dio non ha la meglio sul suo lato luminoso. Dio è una fonte inesauribile di misericordia e di grazia, le sue compassioni infatti non sono esaurite; si rinnovano ogni mattina. L’afflizione, la sofferenza e l’abbandono che l’uomo ha sperimentato non riescono a separarlo dalla fedeltà di Dio, e così rinnova la sua fede Il Signore è la mia parte, perciò spererò in lui. Il Signore è buono con quelli che sperano in lui con chi lo cerca. È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. Con Dio, contro di Dio ma mai senza Dio.
È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. Non pensiamo che così l’uomo afflitta abbia risolto i suoi problemi o trovato risposte alle sue domande. Anzi, torna ad accusare Dio di essersi avvolto nella sua ira, e di aver ucciso senza pietà. Tu hai fatto di noi delle spazzature, dei rifiuti in mezzo ai popoli. Ci sono toccati il terrore, la desolazione e la rovina. E alla fine del libro, con la città ormai in mano al nemico: La gioia – dice il profeta – è scomparsa dai nostri cuori … Ma forse la cosa più sconvolgente sono le parole finali del libro, che andrebbero tradotte “Se Tu ci hai rigettati davvero… Se tu Sei adirato fortemente contro di noi”. Parole che avanzano una possibilità terribile, che Dio abbia davvero rigettato il suo popolo, possibilità senza risposta né rimedio.
Cosa possiamo dire la prima domenica di un anno che non inizia con la gioia bensì con il lamento e lo sgomento davanti a una pandemia che sembra non aver fine e che giorno dopo giorno produce paura, stanchezza, sofferenza e morte? Il brano che abbiamo letto oggi si fa portavoce, insieme ad altre scritture, dell’uomo che ha visto l’afflizione. Non esita ad accusare Dio e sollevare delle domande. Ma offre qualche risposta? Penso che ce ne sono tre.
La prima è quella denunciata dal profeta che possiamo chiamare il silenzio di Dio, il silenzio di Dio che non risponde al grido dell’uomo afflitto. In tutto il libro sentiamo solo la voce umana, che riflette, testimonia, interroga. Dio non parla, e alla fine anche all’essere umano è consigliato, davanti alla sofferenza, di stare in silenzio “è bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore”. “Si sieda solitario e stia in silenzio quando il Signore glielo impone”. È un consiglio che tuttora ha il suo valore.
La seconda risposta del nostro brano suggerisce che la persona afflitta non riesce veramente a vivere, né a comprendersi senza il suo Creatore. Perciò si trova nolente o volente all’interno di una relazione dalla quale non può né vuole fare a meno, ed è proprio perché si trova già all’interno di una relazione con Dio che egli dice “è una grazia del Signore che non siamo stati completamente distrutti; le sue compassioni, infatti, non sono esaurite; si rinnovano ogni mattina. Grande è la tua fedeltà. Niente può convincere questo uomo che in ultima analisi la fedeltà di Dio non sia grande, e che egli può rinnovare la sua fede in lui: Il Signore è la mia parte, perciò spererò in lui”.
Ma c’è anche una terza risposta, risposta che non pone fine al dilemma ma comincia a sciogliere qualche nodo. Dal silenzio, confessano i cristiani e le cristiane, Dio ha parlato “in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Ebr. 1,2). Ed è per mezzo del Figlio, che Dio si è identificato totalmente con l’uomo che ha visto l’afflizione. Chi è l’uomo che ha visto l’afflizione? Non è altro che colui che rappresenta l’umanità: Gesù di Nazaret. Perché, continua la lettera agli Ebrei, egli doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa. Perciò il profeta Isaia dice erano nostri i dolori di cui si era caricato, ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato.
In altre parole, quando Dio parla, parla per prendere su di sé la sofferenza umana, come si sdoppiasse per sopportare in prima persona la sofferenza che – in una visione radicalmente monoteista – egli stesso permette o affligge. Infatti, non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, nelle nostre sofferenze, nel nostro senso di abbandono, nella nostra afflizione nella esperienza del silenzio di Dio.
Che i primi cristiani attribuiscano le parole del salmo 22 Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato a Gesù sulla croce significa, senza ombra di dubbio, che in Gesù vedevano sia l’uomo che ha visto l’afflizione sia il Dio che nella morte del Figlio ce ne offre una via d’uscita.
Così all’inizio di questo nuovo anno, anno che parte nell’incertezza, afflizione e paura causate dalla pandemia abbiamo un motivo in più per dire, insieme all’antico profeta, “è una grazia del Signore che non siamo stati completamente distrutti; le sue compassioni, infatti, non sono esaurite; si rinnovano ogni mattina. Grande è la tua fedeltà”. Amen.
Elizabeth Green
Grazie Elizabeth per questa riflessione bellissima e profonda. Il testo che hai scelto è uno dei più straordinari, drammatici e incredibili momenti di fede di tutta la Bibbia.
Penso che sia un esempio di ciò che nelle discussioni in comunità ho sempre chiamato “cristianesimo non religioso” (naturalmente l’espressione è di Bonhoeffer), cioè di una fede che non cerca nei cieli altissimi la consolazione del dolore del mondo. Ma è una fede che viene testimoniata nel momento della sua smentita. Condivisione del dolore di chi non vuole essere più consolato. Come si consolano le bambine violate e i bambini annegati nei nostri mari?
Il verso 29 dello stesso capitolo delle Lamentazioni presenta l’immagine di una speranza che può brillare solo se ci prostriamo con la bocca nella polvere.
È un’esperienza paradossale: stare in silenzio davanti a Dio e aspettare la sua parola. Speriamo che dopo le immagini, storiche e attuali, di religioni gloriose che proclamano con alta voce, con forza e con violenza la propria verità, si riscopra la fede forte, intensa e silenziosa nella parola di Dio.