“Non frantumerà la canna rotta”

 

1 «Ecco il mio servo, io lo sosterrò;
il mio eletto di cui mi compiaccio;
io ho messo il mio spirito su di lui,
egli manifesterà la giustizia alle nazioni.
2 Egli non griderà, non alzerà la voce,
non la farà udire per le strade.
3 Non frantumerà la canna rotta
e non spegnerà il lucignolo fumante;
manifesterà la giustizia secondo verità.
4 Egli non verrà meno e non si abbatterà
finché abbia stabilito la giustizia sulla terra;
e le isole aspetteranno fiduciose la sua legge».
5 Così parla Dio, il SIGNORE,
che ha creato i cieli e li ha spiegati,
che ha disteso la terra con tutto quello che essa produce,
che dà il respiro al popolo che c’è sopra
e lo spirito a quelli che vi camminano.
6 «Io, il SIGNORE, ti ho chiamato secondo giustizia
e ti prenderò per la mano;
ti custodirò e farò di te l’alleanza del popolo,
la luce delle nazioni,
7 per aprire gli occhi dei ciechi,
per far uscire dal carcere i prigionieri
e dalle prigioni quelli che abitano nelle tenebre.
8 Io sono il SIGNORE; questo è il mio nome;
io non darò la mia gloria a un altro,
né la lode che mi spetta agli idoli.
9 Ecco, le cose di prima sono avvenute
e io ve ne annuncio delle nuove;
prima che germoglino, ve le rendo note».
10 Cantate al SIGNORE un cantico nuovo,
cantate le sue lodi all’estremità della terra,
o voi che scendete sul mare, e anche gli esseri che esso contiene,
le isole e i loro abitanti!
11 Il deserto e le sue città alzino la voce!
Alzino la voce i villaggi occupati da Chedar!
Esultino gli abitanti di Sela,
prorompano in grida di gioia dalla vetta dei monti!
12 Diano gloria al SIGNORE,
proclamino la sua lode nelle isole!

Isaia 42,1-12

 

“Cantate al Signore un cantico nuovo”, così termina il brano che oggi guiderà le nostre riflessioni. “Cantate le sue lodi all’estremità della terra” così recitano le parole con le quali abbiamo iniziato il culto. Il canto di lode viene indicato come la risposta corretta a ciò che il profeta ha annunciato. La cosa interessante è che si canta in anticipo, si canta prima che le cose annunciate si siano verificate, si canta in attesa che le parole del profeta si verifichino “Ecco le cose di prima sono avvenute e io ve ne annunzio delle nuove, prima che germoglino, ve le rendo nota”. Esattamente come nel periodo di avvento, lodiamo il Signore in attesa del Natale.

E che cosa deve accadere? Troviamo la risposta nei primi tre vv del capitolo, “Ecco il mio servo”. Il Signore – perché è lui che parla – ci sta presentando una figura, figura che troveremo altrove in questo libro, il Servo. Come scopriremo, è una figura misteriosa con un compito, però, ben preciso. La prima cosa da notare, però, è che qui abbiamo una presentazione pubblica, una dichiarazione fatta davanti ad altri, una designazione fatta da parte di Dio davanti ai dei testimoni, “Ecco l’uomo di cui ti ho parlato” dice Dio a Samuele indicando il giovane Saul, “Questo è mio figlio di cui mi compiaccio”, dicono i vangeli di Gesù.

Qual è il suo compito? Che cosa farà il servo che Dio promette di sostenere? Ci viene detto per ben tre volte in questi primi 4 vv. sui quali stiamo concentrando la nostra attenzione. Questa figura manifesterà, farà vedere e stabilirà la giustizia. Non una giustizia limitata magari al popolo di Israele ma una giustizia che abbraccia tutte le nazioni, anzi che abbraccia la terra tutta. E subito pensiamo a una giustizia distributiva, che distribuisca beni e valore a tutti e a tutte in parti uguali, oppure a una giustizia retributiva che dia a ciascuno e ciascuna ciò che gli e le spetta in base al proprio agire. Ma la giustizia di cui parla il profeta va ben oltre queste nostre idee di giustizia. Per Israele la giustizia è rivelata nella Torah, come si evince dal v. 4, la giustizia sarà stabilita sulla terra, le isole aspetteranno fiduciose la sua legge, la sua Torah ovvero “l’ordinamento di giustizia compassionevole dal quale dipende l’integrità stessa della creazione” cosicché quando quell’ordinamento viene ignorato o pervertito, la terra tutta ne risente. Ma quando viene instaurato e praticato la terra tutta canta.  “Difendete la causa del debole e dell’orfano, fate giustizia all’afflitto e al povero, liberate il misero e il bisognoso, salvatelo dalla mano degli empi”, così Israele doveva agire dopo essere stato esso stesso salvato dall’Egitto. Compito del servo, dunque è manifestare la giustizia in questo modo, in modo che popoli e pianeti riconoscano che Dio è il Signore, e che fuori di lui c’è nessun’altro.

Come si dovrà manifestare la giustizia che Dio desidera ardentemente per il mondo? E qui arriviamo ai vv. clou del brano. La settimana scorsa Fabrizio ha riflettuto su come un Dio che sta in alto possa farsi prossimo a un popolo che sta in basso. Come può un Dio potente avvicinarsi a un popolo impotente e debole? Come può un Dio giusto riconciliare con sé un popolo che lungo i secoli si è rivelato profondamente ingiusto? Un Dio fedele salvare un popolo infedele? È il dilemma che Dio risolve mediante il Servo. È il dilemma divino al quale la risposta è Natale. Citando il profeta Geremia, Fabrizio ha mostrato che la salvezza divina viene “come lo spuntare di un germoglio”. Non a caso anche qui il profeta annuncia delle cose “prima che germoglino”. E altrove, nei profeti spunta l’idea del germoglio oppure del rampollo: un ramo uscirà dal tronco di Isai e un rampollo, spunterà dalle sue radici”.

I vv, 2 e 3 ci mostrano la natura di tale rampollo, il modo in cui il Servo svolgerà il compito che gli è stato affidato. La cosa che colpisce è che non lo farà con la forza, né con la spada, né con il trambusto delle campagne elettorali. Ma lo fa in modo sottile, quasi invisibile, in modo quasi silenzioso senza microfoni, senza telecamere, “non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade”. Ma forse la cosa più sorprendente è che la giustizia – che difende la causa della vedova e dell’orfano – si fa debole tanto quanto la vedova e l’orfano. In altre parole, Dio si adegua alla debolezza umana, Dio si adegua alla fragilità umana, il Servo si adegua alla vulnerabilità umana. Non calpesterà le persone che sono già state calpestate da un mondo ingiusto, non spegnerà coloro la cui vita si sta già estinguendo. Fabrizio ci ha esortato a farci prossimo all’altro e all’altra come Dio si è fatto prossimo a noi. Ma come? Solo così, rispettando l’estrema fragilità gli uni degli altri, riconoscendo la vulnerabilità gli uni degli altri, senza gridare, senza grandi proclami ma con grande umiltà, e cortesia, e gentilezza e mansuetudine. Così deve fare il Servo finché abbia stabilito la giustizia sulla terra anche se tale percorso porterà al suo soccombere, al suo venire meno, al suo essere abbattuto.

Il quadro è chiaro. Dio ci introduce al suo Servo, ci fa partecipi del suo programma, stabilire la giustizia fra le nazioni e sulla terra, e condivide con noi il suo approccio, quello di farsi debole con i deboli, di agire con estremo rispetto per la fragilità di uomini e di donne vittime di un mondo ingiusto. Rimane un ultimo enigma da risolvere, un’ultima domanda alla quale rispondere. Chi è il servo? Di chi sta parlando il profeta? Una cosa è evidente: se il profeta avesse voluto che fosse chiaro, ce lo avrebbe detto. Se il servo avesse un’unica identità ce l’avrebbe rivelata. È Ciro, il re di Persia che avrebbe permesso agli esiliati di rientrare nella terra promessa? È Israele stesso, il popolo eletto, come altrove viene detto?  Oppure è Gesù di Nazaret come pensano i vangeli usando per lui queste parole? “Ecco il mio servitore che ho scelto; il mio diletto, in cui l’anima mia si è compiaciuta” cita Matteo (12,18). Non c’è dubbio che la figura del Servo annunciata da Isaia ci ha aiutato a decifrare Gesù di Nazaret, a comprendere chi era e che cosa stava facendo.

Ma che senso ha per noi fare un’archeologia di questo genere? Che senso ha identificare la figura che Dio designa “Mio servo” con Gesù la cui nascita celebreremo tra qualche settimana? Una delle cose intriganti del brano meraviglioso che abbiamo letto è che al v. 6 il Signore si rivolge direttamente a qualcuno o qualcuna. Questa non è una dichiarazione fatta davanti a terzi “Ecco il mio servo” ma è una chiamata rivolta direttamente a un Tu “Ti ho chiamato secondo giustizia. ti prenderò per nome… ti custodirò e farò di te un’alleanza del popolo, la luce delle nazioni”, Il Tu viene chiamato a fare alcune cose che vengono fatte da Gesù: “per aprire gli occhi dei ciechi, per far uscire dal carcere i prigionieri”.  In questo v. troviamo delle parole che descrivono molto bene l’opera di Cristo mediatore di una nuova alleanza, di un nuovo patto, luce del mondo. Siamo davanti alla forza della parola profetica. Isaia annuncia le cose di prima che sono avvenute, ma ne annuncia anche delle nuove prima che germoglino.

In questa ottica, nell’ottica di noi che oggi leggiamo i profeti, possiamo dire “Sì, le cose di prima sono avvenute, in Gesù il Servo è venuto e ha svolto il suo compito”. Sia Matteo sia Luca ci danno delle coordinate che fissano la sua nascita nella storia “Gesù era nato a Betlemme di Giudea all’epoca del re Erode” …. Tuttavia, siamo sicuri che non c’è più niente da germogliare? Non è possibile che, come l’antico Israele era stato chiamato per essere una benedizione a tutte le nazioni della terra, così tutti coloro che riconoscono la signoria del Dio che ha creato i cieli e ha dispiegato la terra, siano anche loro chiamati ad essere i suoi servi e le sue serve? Non è forse vero che a Pentecoste lo stesso Spirito che viene messo sul suo Servo viene dato anche ai suoi servi e alle sue serve? E che Gesù, nel sermone sul monte, descrive la giustizia che ci viene richiesta e che deve superare quella degli scribi e dei farisei? E che proprio lì, dice ai suoi discepoli e le sue discepole di essere la luce del mondo (5,14-16)?

Se le cose stanno così e noi come Gesù esistiamo non per noi stessi e noi stesse bensì, come diceva Bonhoeffer, per gli altri, allora le parole di Isaia acquisiscono un altro senso. In Gesù, la cui nascita stiamo per celebrare, la prima chiesa ha riconosciuto la figura del Servo, ma con la sua venuta non termina la sua opera. La giustizia che egli ha stabilito deve germogliare di nuovo e di nuovo ancora. E non può germogliare che attraverso le donne e gli uomini che fanno loro la via del Maestro che “non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade. Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante” Così facendo manifesteranno, manifesteremo la giustizia secondo verità” Amen.

Elizabeth Green

 

Cena del Signore

 

Il pane che stiamo per spezzare insieme e il calice che stiamo per condividere sono simboli poveri e fragili, adatti a ricordare colui che non ha gridato né ha alzato la voce, che ci incontra nella nostra debolezza e fragilità non frantumando la canna rotta né spegnendo il lucignolo fumante. Ci ricordano che Cristo si è fatto carico della nostra vulnerabilità fino alla morte e alla morte in croce. Incarnazione del Servo, Cristo è il pane, oh gran mistero, per noi sceso giù dal ciel. Cantiamo….

Dal vangelo di Matteo cap. 26

26 Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo». 27 Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, 28 perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. 29 Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio».

Preghiamo:

Signore ci sorprendi sempre, venendo nel mondo in modo nascosto, senza fanfare e senza trambusto. Ti chiediamo perdono perché spesso non seguiamo le tue orme. Abbiamo difficoltà ad accogliere e a rispettare le nostre fragilità e quelle degli altri. Ti chiediamo, Signore che mentre spezziamo un pane semplice e beviamo insieme il vino di tutti i giorni, che tu operi col tuo Spirito in mezzo a noi, legandoci a te e gli uni agli altri. Amen.

Ecco le cose di prima sono avvenute e io ve ne annunzio delle nuove. Prima che germoglino, ve le rendo note. Amen.

 

 

 

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