Cagliari e Sulcis Iglesiente
Il mistero dell’iniquità
19 giugno 2022
di ELIZABETH GREEN
Chi sta trattenendo il mistero dell’empietà? Non può che essere Dio stesso che in mezzo a un creato che si surriscalda, in mezzo a un’umanità che si distrugge, in mezzo a una chiesa che si dispera e si lascia ingannare, geme, ma geme attraverso coloro che portano il Suo nome, geme attraverso le preghiere dei santi, geme attraverso coloro che perseverano nella fede. Lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri ineffabili. E in questo modo si trattiene il male
1 Ora, fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui, vi preghiamo 2 di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente, né turbare sia da pretese ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche lettera data come nostra, come se il giorno del Signore fosse già presente. 3 Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, 4 l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e proclamandosi Dio.
5 Non vi ricordate che quando ero ancora con voi vi dicevo queste cose? 6 Ora voi sapete ciò che lo trattiene affinché sia manifestato a suo tempo. 7 Infatti il mistero dell’empietà è già in atto, soltanto c’è chi ora lo trattiene, finché sia tolto di mezzo. 8 E allora sarà manifestato l’empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca, e annienterà con l’apparizione della sua venuta. 9 La venuta di quell’empio avrà luogo, per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi, 10 con ogni tipo d’inganno e d’iniquità a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati. 11 Perciò Dio manda loro una potenza d’errore perché credano alla menzogna; 12 affinché tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma si sono compiaciuti nell’iniquità, siano giudicati.
2 Tess 2,1-12
I fratelli e le sorelle della giovane chiesa di Tessalonica, nata dalla predicazione dell’apostolo Paolo sono in difficoltà. Per qualche motivo la comunità è stata presa da mira, è perseguitata e afflitta. E spesso, in una situazione del genere, subentrano dubbi e tentennamenti. Il nostro entusiasmo comincia a venire meno e pian piano abbandoniamo gli impegni presi. In altre parole, quando siamo vulnerabili è più facile che ci lasciamo “sconvolgere la mente” da malintenzionati dentro e fuori di noi.
Perché a Tessalonica erano turbati? Erano turbati perché – in mezzo ai loro guai – qualcuno aveva fatto loro credere che il Signore Gesù – la cui venuta stavano aspettando con ansia- era già venuto e la sua apparizione già avuto luogo! E poiché loro sapevano, dalla prima lettera che Paolo li aveva scritto, che alla sua venuta avrebbero incontrato Gesù nell’aria, questo non poteva che significare una cosa sola, se il Signore era venuto loro, allora lo avevano perso, non lo avevano incontrato nell’aria né da nessun’altra parte. Avevano mancato all’appuntamento.
Possiamo comprendere il loro turbamento. Vivevano in tempi duri, erano perseguitati e afflitti e avevano pensato che il male che li circondava fosse il segno della fine, il preludio alla venuta che Gesù aveva promessa. Perciò quando qualcuno li aveva detto “Ma guardate che Gesù è già venuto” erano affranti… In questa lettera, quindi, Paolo si accinge a dissipare i loro dubbi, consolarli e incoraggiarli dicendo come stanno veramente le cose.
Che non si facciano ingannare! Che non si lascino abbindolare! Altre cose devono ancora accadere prima che Cristo ritorni: “Nessuno vi inganni in qualche modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione”. Questa lettera ci catapulta in un immaginario a noi estraneo, l’apocalittica, modo di vedere stravagante nata in tempi di persecuzione e tribolazione del popolo ebraico. Paolo vuole assicurare la giovane chiesa che nonostante le sofferenze e persecuzioni di cui sono oggetto, nonostante il male che dilaga, non hanno perso il treno, anzi che “fin dal principio Dio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità”.
Immersi in un mondo ostile, consapevoli del male di cui sono oggetto sono pronti a credere le menzogne di turno. Se il linguaggio che usa la lettera è molto lontano dal nostro, il mondo che descrive, invece, ci è molto vicino. A volte sembra che anche noi siamo presi in un vortice di violenza, in mezzo a eventi che non comprendiamo, impotenti a porne fine. In primis la pandemia, due anni di covid con più di sei milioni di morti a livello mondiale e poi, quando pensavamo che il peggio era passato, la Russia ha invaso l’Ucraina iniziando una guerra ancora in corso. Nel frattempo, giovani e giovanissimi del nostro paese fanno a botte nelle piazze mentre altrove si precipita nelle sparatorie di massa. E non abbiamo ancora parlato della violenza endemica contro le donne, delle continue aggressioni omofobe o a fondo razzista, del cambiamento climatico e del vaiolo delle scimmie che sembra stia per arrivare. Di guerre e rumori di guerre ne abbiamo certo abbastanza, e non ci sorprende se qualcuno grida alla fine del mondo.
Le scritture hanno sempre guardato in faccia il male. Non hanno mai avuto illusioni sull’umanità, tant’è che nel libro della Genesi si racconta che la violenza era così diffusa che Dio si pentì di aver creato l’uomo da spazzarlo via dalla faccia della terra. Possiamo capire perché i tessalonicesi – che conoscevano queste tradizioni – pensassero che la loro afflizione segnalasse la fine dei tempi e la venuta del Signore. Chi non si dispera di un mondo che sembra andare alla deriva? Di una società che non sembra in grado di porne rimedio? Di una chiesa che diventa sempre più vecchia e sembra perdere pezzi?
Eppure, spiega Paolo, quel giorno, il giorno del Signore, non è ancora arrivato. È come se ci fosse un tipo di moratoria. Prima che venga il Signore, devono succedere altre cose ancora, deve arrivare l’apostasia, l’uomo del peccato, il figlio della perdizione. Che questo sia un individuo o una personificazione del male non sappiamo. Sappiamo però che queste parole si riferiscono a ciò che per la Bibbia è la quintessenza del male: il desiderio di sostituirsi a Dio, il negare Dio mettendosi al suo posto, “fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e proclamandosi Dio”.
Secondo le scritture la radice del male che inonda il mondo e al quale nolenti o volenti anche noi partecipiamo dipende dalla negazione di Dio, non come proposizione filosofica ma come fondamento e orientamento della propria vita. “Lo stolto ha detto in cuor suo: Non c’è Dio” dice il salmista mentre altrove Paolo scrive “hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore che è benedetto in eterno Amen”.
Nonostante le nostre diverse circostanze storiche, anche noi, come i tessalonicesi, siamo consapevoli del male che dilaga, della violenza che si diffonde, dell’iniquità che trionfa, dello sconforto e sofferenza che produce. Basta guardare il telegiornale della sera per vedere che “il mistero dell’empietà è già in atto”, eppure – scrive Paolo – il tempo della sua manifestazione – della sua apocalisse – non è ancora arrivato. Non è arrivato perché c’è qualcosa e qualcuno che lo trattiene. “Ora voi sapete ciò che lo trattiene affinché sia manifestato a suo tempo. Infatti, il mistero dell’empietà è già in atto, soltanto c’è chi ora lo trattiene” Inutile dire quanto gli studiosi hanno discusso sul significato di queste parole. Alla fine, però, c’è un’unica soluzione al dilemma, poiché ad essere trattenuto è una forza diametralmente opposta a Dio, l’unico che la può contrastare e trattenere è colui che quella forza ha già vinto e cacciato, ovvero Dio in Cristo.
Ma Dio in che modo trattiene il mistero dell’empietà? E qui c’entriamo noi. Ricordatevi ciò che sta scritto in Efesini “il nostro combattimento non è contro sangue e carne, ma piuttosto contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità”. In altre parole, a trattenere il mistero dell’empietà è Dio che opera in mezzo a noi per il suo Spirito. Scrivendo questa volta ai Romani, l’apostolo Paolo parte dalle sofferenze del tempo presente per guardare la creazione che – in preda alla corruzione – geme ed è in travaglio. Non solo, ma “anche a noi che abbiamo le primizie dello Spirito gemiamo dentro di noi” Inoltre, poiché non sappiamo che pesce pigliare non riusciamo nemmeno a pregare “non sappiamo pregare come si conviene”, ma – scrive l’apostolo – “lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili”. In altre parole, è lo Spirito stesso che esprimendosi nelle nostre preghiere trattiene il mistero dell’empietà fino al tempo che Dio ha decretato. Perciò sta scritto “Pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza”.
Chi sta trattenendo il mistero dell’empietà? Non può che essere Dio stesso che in mezzo a un creato che si surriscalda, in mezzo a un’umanità che si distrugge, in mezzo a una chiesa che si dispera e si lascia ingannare, geme, ma geme attraverso coloro che portano il Suo nome, geme attraverso le preghiere dei santi, geme attraverso coloro che perseverano nella fede. Lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri ineffabili. E in questo modo si trattiene il male.” Colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio” Così facendo, Dio lascia aperta la porta a noi e noi lasciamo aperta la porta a Dio.
Potremmo dire che questo è il compito della comunità di credenti, lasciare aperta la porta a Dio. Una porta attraverso la quale la sua Parola può entrare nel mondo. Lo facciamo nella misura in cui non ci lasciamo scoraggiare né ingannare dal male e dalla violenza che impera. Né che ci lasciamo sconfiggere dal nostro senso di impotenza. Non siamo impotenti perché anche se non sappiamo pregare lo Spirito interviene alla nostra debolezza. E così tratteniamo il male. Lasciamo aperta una porta a Dio in questo mondo che non ne vuole sapere. Perché? Perché non arriva il giorno del Signore a fare piazza pulita di un mondo alla deriva e di tutte le sue atrocità? Il brano che abbiamo letto esprime proprio questo desiderio, che il Signore venga e distrugga con il soffio della sua bocca tutti i malfattori.
Altrove, però, viene offerta una visione meno truce: “Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti raggiungono al ravvedimento”. Trattenere il mistero dell’empietà è segno della pazienza del Signore di cui noi tutti abbiamo bisogno. Trattenere il mistero dell’empietà significa lasciare aperta la porta a Dio affinché le persone ci entrino, smettano di dire in cuor loro non c’è Dio e riconoscano che “il timore del Signore è il principio della scienza”. Perciò cari fratelli e care sorelle in questi tempi difficili che mettono alla prova la nostra fede, non ci lasciamo ingannare né scoraggiare. Non veniamo meno agli impegni presi anzi, dedichiamoci con maggiore impegno alla preghiera – che è l’attività che maggiormente deve caratterizzare la chiesa – diventando vettori dello Spirito che interceda per noi con sospiri ineffabili. In questo modo il mistero dell’empietà viene trattenuto e il vangelo della vita annunciato, in modo che nessuno perisca” Amen.
Elizabeth Green