Cagliari e Sulcis Iglesiente
Il Pastore e i pastori
7 Perciò, o pastori, ascoltate la parola del SIGNORE! 8 Com’è vero che io vivo”, dice il Signore, DIO, “poiché le mie pecore sono abbandonate alla rapina; poiché le mie pecore, che sono senza pastore, servono di pasto a tutte le bestie dei campi, e i miei pastori non cercano le mie pecore; poiché i pastori pascono se stessi e non pascono le mie pecore, 9 perciò, ascoltate, o pastori, la parola del SIGNORE! 10 Così parla il Signore, DIO: Eccomi contro i pastori; io domanderò le mie pecore alle loro mani; li farò cessare dal pascere le pecore; i pastori non pasceranno più se stessi; io strapperò le mie pecore dalla loro bocca ed esse non serviranno più loro di pasto”.
11 «Infatti così dice il Signore, DIO: “Eccomi! io stesso mi prenderò cura delle mie pecore e andrò in cerca di loro. 12 Come un pastore va in cerca del suo gregge il giorno che si trova in mezzo alle sue pecore disperse, così io andrò in cerca delle mie pecore e le ricondurrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre; 13 le farò uscire dai popoli, le radunerò dai diversi paesi e le ricondurrò sul loro suolo; le pascerò sui monti d’Israele, lungo i ruscelli e in tutti i luoghi abitati del paese. 14 Io le pascerò in buoni pascoli e i loro ovili saranno sugli alti monti d’Israele; esse riposeranno là in buoni ovili e pascoleranno in grassi pascoli sui monti d’Israele. 15 Io stesso pascerò le mie pecore, io stesso le farò riposare”, dice il Signore, DIO. 16 “Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, rafforzerò la malata, ma distruggerò la grassa e la forte: io le pascerò con giustizia.
17 Quanto a voi, o pecore mie, così dice il Signore, DIO: Ecco, io giudicherò tra pecora e pecora, fra montoni e capri. 18 Vi sembra forse troppo poco il pascolare in questo buon pascolo, al punto che volete calpestare con i piedi ciò che rimane del vostro pascolo? il bere le acque più chiare, al punto che volete intorbidire con i piedi quel che ne resta? 19 Le mie pecore hanno per pascolo quello che i vostri piedi hanno calpestato; devono bere ciò che i vostri piedi hanno intorbidito!”
Ezechiele 34, 7-19
Si alza il sipario sul vangelo, e chi entra subito in palcoscenico? Non Gesù, bensì Giovanni Battista in piena modalità profetica. Infatti, vedendo com’è vestito e ascoltando ciò che dice, capiamo subito che fa parte di una lunga linea di profeti. Il vestito di pelo di cammello ci ricorda Elia, l’invito alla conversione in vista del giudizio imminente è il messaggio profetico tout court.
Tutti i tre grandi profeti – Isaia, Geremia, Ezechiele – appartengono all’epoca turbolenta dell’esilio. E tutti consideravano l’esilio frutto del giudizio divino. Togliendo a Israele la terra promessa, Dio stava punendo la sua infedeltà. Eppure, dicevano questi stessi profeti, se avessero cambiato vita, se fossero tornati da Dio, Dio li avrebbe di nuovo benedetti “Ravvedetevi perché il regno dei cieli è vicino” diceva Giovanni Battista a chi lo seguiva nel deserto
Nel brano che abbiamo letto, invece, Ezechiele prende di mira i pastori, ovvero i responsabili del popolo. Sono tutti coloro che rivestivano un ruolo di governo o di guida, i sacerdoti, i leviti, l’emergente classe degli scribi, la famiglia reale e i suoi consiglieri, i ministri persino alcuni profeti. Tutti coloro che avevano qualche responsabilità nella guida del paese. La parola di giudizio col quale inizia il brano è rivolta ai governanti, ai politici, agli uomini di chiesa. Così parla Dio: eccomi contro i pastori.
Sappiamo tutti che i pastori devono fare un’unica una cosa. Badare al gregge. Ma è precisamente ciò che non hanno fatto. Le accuse contro di loro sono fondamentalmente due. La prima è che non hanno svolto il loro lavoro, e il gregge è stato abbandonato a sé stesso. Non sono andati in parlamento, non hanno incontrato i loro elettori, ma, e questa è la seconda accusa, hanno usato la loro posizione per il proprio guadagno. Non è forse il gregge quello che i pastori debbono pascere? Invece hanno usato le risorse del gregge, i privilegi del proprio posto per arricchirsi.
Se entriamo maggiormente nei dettagli vediamo che il compito del pastore è duplice. Da un lato, deve prendersi cura del gregge, portandolo al pascolo, nutrendolo, occupandosi di ogni singola pecora quando si ammala. Dall’altro lo deve tenere insieme, il gregge sopravvive se è unito, da sole le pecore non cela fanno. Ma è precisamente ciò che secondo Ezechiele, i pastori di Israele non hanno fatto, invece di dare da mangiare alle pecore le hanno mangiate; invece di tenerle unite quelle si sono disperse, pasto di tutte le bestie del campo, come l’Assiria prima e Babilonia poi.
Le cose stanno per cambiare, però. In che modo? Il Signore stesso sta per prendere la guida del popolo: “Ecco io stesso mi prenderò cura delle mie pecore e andrò in cerca di loro”. Ora Dio si occuperà personalmente del gregge, raccoglierà le pecore si sono disperse, le riporterà a casa, le pascerà, fascerà la ferita e rafforzerà la malata. Come dice il salmo 23 Il Signore è il mio pastore, nulla mi mancherà. Poiché i pastori sono stati infedeli, vengono destituiti: “li farò cessare di pascere le mie pecore… io strapperò le mie pecore dalla loro bocca”. Da ora in avanti, Dio in persona si farà carico del loro compito, si occuperà direttamente del gregge, insegnandoci cosa vuole dire pascere il popolo, occupare ruoli di responsabilità in un paese o in una chiesa.
E se vogliamo vedere come Dio si prende cura delle pecore abbiamo solo da dare un’occhiata ai vangeli e precisamente al capitolo 10 di Giovanni. Dove Gesù stesso dice “Io sono il buon pastore”. In altre parole, Gesù è il pastore che Dio ha detto di essere. Lungo tutti i vangeli vediamo Gesù che va alla ricerca delle persone che si sono smarrite, che guarisce le persone ferite e rafforza le persone malate, che dà da mangiare alle persone che lo seguono dappertutto. Al lavoro del pastore, però, Gesù aggiunge un paio di cose in più. La prima è che il suo gregge non è limitato a un unico territorio, ma si estende al mondo intero: “ho anche altre pecore, che non sono di questo ovile, anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce e vi sarà un solo gregge e un solo pastore”. La seconda è che pur di salvare, Gesù è pronto a dare la sua vita. Il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Se il mercenario si dà alla fuga e abbandona il gregge, Gesù invece rimane accanto ad esso, ed è pronto a dare la propria vita pur di salvarle. Io depongo la mia vita per riprenderla poi.
In questo brano, Ezechiele ci rivela qualcosa fondamentale di Dio, egli è un pastore che prenderà cura del suo gregge. Comincia a farlo subito, raccogliendo l’Israele disperso e riportandolo nella terra promessa.
Il brano di Ezechiele inizia con un annuncio di giudizio nei confronti dei pastori di Israele e alla fine Dio li solleva dal loro carico per diventare lui il pastore del popolo, ruolo che poi viene assunto da Gesù che ci fa vedere, pagina dopo pagina dei vangeli come si fa il pastore, il pastore per così dire in azione.
Dio, però, opera sempre attraverso i suoi servi e le sue serve, nonostante l’infedeltà dei pastori denunciata da Ezechiele, Dio continua a chiamare persone ad esercitare un ruolo di guida e ad assumere la cura di altre persone. Infatti, proprio alla fine del vangelo di Giovanni Gesù dice a Pietro di pascere le sue pecore. Simone di Giovanni, mi ami più di questi? Egli rispose, “Si, Signore tu sai che ti voglio bene”. Gesù gli dice “pasci i miei agnelli”. Inoltre, nell’elenco di ministri che Dio dà alla chiesa figurano, nella lettera agli Efesini, accanto ai profeti e agli apostoli, ai dottori anche i pastori. Non bisogna immaginare che all’epoca ci fosse una distinzione troppo netta tra queste diverse funzioni. Perciò quando Paolo chiama gli anziani della chiesa di Efeso, prima di partire dice loro: “Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo spirito Santo vi ha costituiti per sorvegliare e per pascere la chiesa di Dio che egli ha costituito con il proprio sangue”.
Perché Ezechiele se la prende così tanto con i capi, gli anziani, i governanti del popolo? Perché Gesù se la prende così tanto con gli scribi e i farisei? La risposta è semplice, perché erano stati investiti di un compito al quale erano venuti meno. Avevano ricevuto un incarico di cui avevano abusato. Per questo motivo nelle nostre chiese pastora e consiglio di chiesa danno conto, ogni anno come si è fatto domenica scorsa, del lavoro svolto. Vige il principio che coloro che hanno il dovere e, per così dire, il potere di fare qualcosa sono maggiormente responsabili – nel bene e nel male – di coloro che non sono stati investiti di quel compito
Ma questo pone un quesito molto interessante. L’idea di Dio come buon pastore che ci porta lungo le acque chete, ci fa risposare in verdeggianti pascoli e ci ristora l’anima è molto rassicurante. Da una parte, è allettante l’idea che ci sia qualcuno/a che si prende cura noi, che prende le decisioni per noi, che lavora per noi e si assume la responsabilità per le pecore. Dall’altra, però, noi non siamo pecore. L’idea che alcuni sono pastori e gli altri pecore non corrisponde affatto all’immagine che abbiamo di noi stessi. Perciò, è importante che noi leggiamo anche i vv. 17 fino a 19. Perché ora il profeta si rivolge alle pecore: “Quanto a voi, o pecore mie, così dice Dio, il Signore: Ecco giudicherò tra pecore e pecore, fra montoni e capri…” Qui si apre uno scenario diverso. Il profeta mette in evidenza che il gregge si distingue in pecore e pecore, montoni e capri. Di che cosa vengono accusati? Di aver pestato i piedi gli uni degli altri. Ovvero che quella tendenza dei pastori ad arricchirsi alle spese del gregge è presente tra le pecore stesse, ognuna cerca il proprio, non bada né a chi le sta accanto, né a chi le verrà dopo. Della terra e dell’acqua, ovvero di ciò la fonte di sopravvivenza stessa del gregge, alcuni stanno facendo uno scempio. È quindi anche se i pastori hanno maggiore responsabilità questo non vuole dire che le pecore ne sono prive. Anzi ognuna deve badare, per così dire a dove mette i piedi. Ognuna deve aver a cuore il benessere del prossimo. Non deve calpestare il prossimo e ciò che gli serve per vivere.
È difficile ascoltare queste parole senza pensare alle parole di monito che ci lancia Greta Thunberg. Siamo noi del mondo ricco a calpestare le risorse che appartengono agli altri due terzi del mondo. Ma è anche difficile leggere queste parole senza pensare alla parabola che separa le pecore dai capri. In questa parabola (Mt 25) pecore e capre vengono separate in base a all’attenzione che ognuno ha mostrato verso chi gli era accanto, lo straniero, l’ammalato e via dicendo. In altre parole, in base alla cura che ha prodigato al resto del gregge, assicurando che avesse pascoli puliti in cui pascere e acqua limpida da bere
Secondo il profeta Ezechiele il giudizio che sta per abbattersi su Israele coinvolge sì i pastori ovvero coloro investiti di responsabilità verso il popolo ma anche il popolo stesso, chiamato a badare l’uno all’altro. Tuttavia, il messaggio dei profeti come quello di Giovanni Battista prima e Gesù poi è soprattutto un annuncio di speranza e di salvezza. Ravvedetevi e credete al vangelo dice Gesù. Il vangelo è quello annunciato da Ezechiele prima e fatto carne da Gesù poi.
Dice il Signore: “Eccomi! Io stesso mi prenderò cura delle mie pecore … Io cercherò la pecora perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, rafforzerò la malata, ma distruggerò la grassa e la forte: io le pascerò con giustizia”. È esattamente ciò che accade nella vita di Gesù, colui che dice Io sono il buon pastore. Colui che ha altre pecore alle quali va alla ricerca, colui che chiama per nome le sue pecore e dà la sua vita per loro, Amen.
Elizabeth Green