Il vangelo. Un terremoto nella propria vita

19 I suoi padroni, vedendo che la speranza del loro guadagno era svanita, presero Paolo e Sila e li trascinarono sulla piazza davanti alle autorità; 20 e, presentatili ai pretori, dissero: «Questi uomini, che sono Giudei, turbano la nostra città, 21 e predicano riti che a noi Romani non è lecito accettare né praticare». 22 La folla insorse allora contro di loro; e i pretori, strappate loro le vesti, comandarono che fossero battuti con le verghe. 23 E, dopo aver dato loro molte vergate, li cacciarono in prigione, comandando al carceriere di sorvegliarli attentamente. 24 Ricevuto tale ordine, egli li rinchiuse nella parte più interna del carcere e mise dei ceppi ai loro piedi.
25 Verso la mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano. 26 A un tratto, vi fu un gran terremoto, la prigione fu scossa dalle fondamenta; e in quell’istante tutte le porte si aprirono, e le catene di tutti si spezzarono. 27 Il carceriere si svegliò e, vedute tutte le porte del carcere spalancate, sguainò la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. 28 Ma Paolo gli gridò ad alta voce: «Non farti del male, perché siamo tutti qui». 29 Il carceriere, chiesto un lume, balzò dentro e, tutto tremante, si gettò ai piedi di Paolo e di Sila; 30 poi li condusse fuori e disse: «Signori, che debbo fare per essere salvato?» 31 Ed essi risposero: «Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia». 32 Poi annunciarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua. 33 Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte, lavò le loro piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi. 34 Poi li fece salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola, e si rallegrava con tutta la sua famiglia, perché aveva creduto in Dio.

Atti 16, 19-34

 

I vangeli raccontano, tra le altre cose, tanti piccoli incontri che le persone ebbero con Gesù. Alcuni li ricordiamo molto bene, Gesù che incontra i pescatori vicino al lago, per esempio, oppure la donna col flusso di sangue che tocca Gesù in mezzo alla folla. Alcuni di questi incontri sfociano in delle vere e proprie confessioni di fede. La donna samaritana per esempio, dopo aver incontrato Gesù al pozzo, dice ai suoi concittadini “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; non potrebbe essere lui il Cristo?” mentre il centurione romano che si trova faccia a faccia con la morte di Gesù  in croce esclama  “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”.

Anche il libro degli Atti prosegue in questo modo, narrando come Gesù continua ad andare incontro a persone di ogni tipo, non più in carne e ossa bensì nella parola predicata dagli apostoli e apostole. Rileggere queste storie ci aiuta a vedere come possiamo incontrare Gesù nella nostra vita ancora oggi.

Inizia con l’accusa formulata contro Paolo e Sila. “Questi uomini, che sono Giudei, turbano la nostra città e predicano riti che a noi Romani non è lecito accettare o praticare”. Questa accusa che mette insieme religione, politica e patriottismo non è dissimile a quella che aveva già mandato Gesù alla croce. Glissa sui veri motivi dell’arresto degli apostoli. Liberando una schiava dei suoi poteri da indovina, Paolo aveva mandato in malora i guadagni del suo padrone.

Ma spostiamoci alla prigione per vedere ciò che accade. Paolo e Sila, indeboliti del trattamento brutale che hanno ricevuto vengono rinchiusi “nella parte più interna del carcere e ai loro piedi vengono messi dei ceppi”.  Luca sottolinea il fatto che si trovano in una situazione senza via di uscita, del tutto impotenti davanti al corso degli eventi. Non sanno né quando né se saranno mai rilasciati. Il loro futuro appare chiuso. Anche se non siamo mai stati in prigione, sicuramente   ci siamo trovati in circostanze simili, senza riuscire a vedere nessuna possibile via di uscita.

Paolo e Sila, non si fanno vincere dallo sconforto; hanno lo stesso antidoto che abbiamo noi. La preghiera e gli inni. “Qual amico in Cristo abbiamo”, abbiamo cantato all’inizio, così “Verso mezzanotte Paolo e Sila pregando cantavano inni a Dio”. La preghiera e gli inni cantati a Dio hanno una doppia funzione. Da un lato distolgono l’attenzione da noi stessi portandoci verso Dio e lontano dalle nostre circostanze immediate, dall’altro compiono l’azione opposta, portano Dio nel cuore della situazione che ci affligge. Scrivendo da un altro carcere proprio ai filippesi    Paolo dirà “non angustiatevi di nulla ma fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche accompagnate da ringraziamenti”.  Ascoltati da tutti, la preghiera e gli inni degli apostoli abbracciano tutta la comunità carceraria.

Senza dirlo, Luca lascia intendere che il terremoto che ora giunge   sia una risposta alla loro preghiera. Una situazione apparentemente chiusa viene letteralmente e inaspettatamente aperta dando agli apostoli una via d’uscita. Anche questo fa parte della nostra esperienza, se sostiamo nelle difficoltà qualcosa di inaspettato accade che cambia le carte in tavola.

Eppure, qui succede qualcosa di curioso. Paolo e Sila non si precipitano fuori dal carcere. Una strada si è aperta ma loro non la prendono. Il terremoto spezzando le catene dei prigionieri e spalancando le porte alle celle ha offerto loro un’occasione di libertà. Da prendere al volo, solo che i due discepoli non lo fanno, perché

Perché Paolo si è reso conto che il carceriere è prigioniero anche lui.  Anzi, temendo che i prigionieri fossero scappati e consapevole che la loro fuga gli sarebbe costato la vita, sta per uccidersi. v. 28.  Paolo e Sila, dunque, rinunciano a trarre vantaggio della nuova situazione creata dal terremoto. Non potevano permettere che la loro libertà costasse la morte altrui. Per salvare la vita al carceriere, non scappano. Il racconto prende una piega diversa, non racconta più come Dio ha liberato Paolo e Sila dalla prigione ma qualcos’altro.

Come Gesù si era rifiutato di salvarsi scendendo giù dalla croce, così Paolo si rifiuta di approfittare del terremoto per uscire dal carcere e salvarsi la pelle. Ed è questa decisione – di rimanere quando avrebbe potuto scappare, a prima vista incomprensibile al carceriere -che porterà alla sua salvezza. “Chiesto un lume, balzò dentro e tutto tremante si gettò ai piedi di Paolo e Sila e poi li condusse fuori e disse “Signori che debbo fare per essere salvato?”

Così gli apostoli, “annunciarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua”. In modo ardito invita il carceriere ad accogliere il Gesù “mandato ad annunciare la liberazione ai prigionieri”. Ci troviamo davanti a un paradosso, un carceriere che accolga un Gesù che salva e libera!  Una guardia carceraria che crede in un Dio che spalanca le porte delle celle in cui ci siamo rinchiusi e spezza le catene con le quali ci siamo legate!  Il vangelo è come il terremoto e mette le cose davvero sottosopra.

Ora l’attenzione si sposta dagli apostoli al carceriere. Avrà sentito Paolo e Sila pregare e cantare inni tutta la notte. Inoltre, non essendo scappati in seguito al terremoto, fuga che sarebbe costato la vita al carceriere, gli hanno mostrato che per Dio la sua vita non è una vita usa e getta come lo era per Roma, ma una vita importante, riscattabile, salvabile. E il carceriere si vuole salvare!  “Signori che debbo fare per essere salvato?” E Paolo: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”. Come poteva essere salvato, lui che pensava di trovarsi in una situazione senza via di uscita? Affidati, dice Paolo, a quel Gesù che loro annunciavano.

“Qual amico in Cristo abbiamo!”

L’invito a credere raggiunge tutta la casa del carceriere e le sue azioni successive sono importantissime in quanto tracciano l’itinerario di colui o colei che per la prima volta crede in Gesù. Il carceriere testimonia la sua fede attraverso quattro azioni che fa – leggiamo alla fine del brano – “perché aveva creduto in Dio”.

E quali sono? In primo luogo, si mette al servizio di Paolo e Sila, portandoli a casa e lavando le loro piaghe. Vuole rimediare alle sofferenze che anche lui ha causato. Come Zaccheo restituisce i soldi a che aveva rubato, così il carceriere lava le piaghe degli apostoli causate dalle vergate ricevute e dai ceppi messi ai piedi.  Ci ricorda il buon samaritano che medica le ferite dell’uomo trovato per strada, oppure la donna che unge i piedi di Gesù. Come loro il carceriere si pone all’umile servizio dell’altro.

In secondo luogo, non si sa bene come, il carceriere viene subito battezzato insieme alla sua famiglia. Colui che lava le piaghe a Paolo e Sila ha bisogno di essere lui stesso lavato. L’arrivo di Paolo e Sila in carcere ha causato un vero e proprio terremoto nella sua vita. È diventato un uomo che non tormenta e tortura i prigionieri ma che si prende cura di loro per dar loro sollievo. Il battesimo, segno per eccellenza del Dio che mette in libertà i prigionieri, testimonia, annuncia e conferma quel cambiamento.

In terzo luogo, come Zaccheo accolse Gesù in casa sua, così il carceriere apre la sua casa agli apostoli. Sila e Paolo diventano gli ospiti d’onore alla sua mensa. Questa scena ci fa ricordare la comunione conviviale di Gesù con i suoi discepoli oppure la pratica che delle prime chiese che spezzavano il pane insieme. L’episodio termina con una scena di comunione, di piena integrazione tra il carceriere, la sua famiglia e gli ex prigionieri. È un ritratto in miniatura della chiesa. L’habitat naturale, si può dire, di donne e uomini che credono in Cristo.

La quarta e ultima azione che compie il carceriere è rallegrarsi con tutta la sua famiglia. Per Luca, l’allegria è vero e proprio segno che l’annuncio del vangelo sia andato a buon fine. “Rallegratevi con me. dice il pastore della parabola. Perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta”. Non solo, ma l’allegria è anche il tema ricorrente della lettera ai filippesi “Ma anche se vengo offerto in libazione sul sacrifico e sul servizio della vostra fede ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi, e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me” (2,17) Chissà se, scrivendo quelle righe, Paolo si ricordava della comunione allegra intorno alla tavola in casa del carcere di Filippi?

Care sorelle e cari fratelli, domenica prossima anche noi ci rallegreremo ad ascoltare storie di come un incontro con Gesù – non importa quando o come esso è accaduto – ha cambiato la vita di alcune nostre sorelle e alcuni nostri fratelli. Da una parte i loro racconti saranno diversi ma dall’altra saranno tutti   simili. Perché al centro di ogni racconto c’è Gesù che ci viene incontro in modo talvolta sorprendente e quasi sempre imprevedibile nelle diverse circostanze della nostra vita.

Oggi abbiamo visto che non c’è situazione, per disperata che appaia, alla quale Gesù non si affacci per darci una via di uscita e un’offerta di salvezza come fece al carceriere di Filippi. Tale incontro, però, non si ferma lì ma vissuto con fede, fluisce nella comunità di credenti dove si dispiega nelle quattro azioni del carceriere, il servizio dell’altro, la testimonianza battesimale, la comunione intorno alla stessa mensa, e l’allegria che tutto ciò produce. Amen.

Elizabeth Green

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