Libertà per Patrick Zaki

di Stefano Meloni

L’accesa discussione sugli inginocchiamenti prima di un evento sportivo mediatico ha riportato l’attenzione sul senso di gesti dimostrativi apparentemente ininfluenti su istanze politiche o giudiziarie. Che senso ha manifestare ciò che si pensa su un fatto che va oltre la possibilità di azione individuale e collettiva? Perché firmare petizioni online? Quale senso ha postare sui social la propria indignazione per la situazione delle carceri o per sostenere un decreto-legge contro la discriminazione e la violenza per motivi fondati su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità? E qual è il peso di una posizione assunta da una minuscola comunità di credenti? Per tutti questi interrogativi c’è sempre e solo una risposta: praticare la libertà della propria coscienza e, per chi crede nel Dio di Gesù Cristo, schierarsi contro la sopraffazione, l’ingiustizia e la violenza del più forte sul più debole. 

Così, per la libertà dello studente egiziano in carcere, abbiamo risposto a una richiesta di Amnesty International di fare una foto con la silhouette di Patrick alla fine del culto di domenica 11 luglio. Per dire che ci siamo e che sappiamo che la speranza di giustizia si fonda su una promessa di redenzione. Quella che ci è stata testimoniata.

(Intanto nella giornata del 12 luglio è stata rinnovata per altri 45 giorni la carcerazione di Zaki, che il giorno successivo, 13 luglio, per la prima volta dal giorno del suo arresto il 7 gennaio 2020, è stato ascoltato dai giudici, Ndr.)

(Questo articolo è stato pubblicato su Riforma.it il 15 luglio 2021)

Foto di Stefano Conti

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