Quale chiesa per quale futuro?

“Avverrà negli ultimi giorni“, dice Dio, “che io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona;
i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno,
i vostri giovani avranno delle visioni,
e i vostri vecchi sogneranno dei sogni.
18 Anche sui miei servi e sulle mie serve,
in quei giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno.
19 Farò prodigi su nel cielo, e segni giù sulla terra,
sangue e fuoco, e vapore di fumo.
20 Il sole sarà mutato in tenebre, la luna in sangue,
prima che venga il grande e glorioso giorno del Signore.
21 E avverrà che chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato“.

41 Quelli che accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
42 Ed erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere. 43 Ognuno era preso da timore; e molti prodigi e segni erano fatti dagli apostoli. 44 Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; 45 vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46 E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, 47 lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati.

Atti 2, 17-21, 41-47

 

L’alleanza mondiale battista è un’organizzazione che raggruppa più di trecento unioni battisti in tutto il mondo e rappresenta più o meno 49 milioni di battisti. Non ha autorità, ovviamente, sulle singole unioni ma è una forma di  coordinamento e  di comunione tra le chiese. Qualche mese fa ha prodotto un malloppo, di più di 200 pagine dedicate alla risposta delle chiese nei tempi della crisi, la crisi essendo, ovviamente, la pandemia.

Si divide tra riflessioni teologiche, testimonianze locali e linee guida pratiche, con contributi da paesi molto diversi tra loro, la Scozia, Myanmar, L’India, il Perù, l’Australia, la Nigeria e persino l’Italia. La cosa che mi ha colpito è che nonostante condizioni sociali, economiche e politiche molte diverse tra di loro, le risposte alla pandemia da parte delle singole chiese battiste sono state molto simili. Questo significa che troviamo delle    conferme di come ci siamo mossi qui in Sardegna, ma anche delle sfide. In Perù, per esempio, la chiesa battista di Lima ha aperto i suoi locali ai migranti provenienti dalla Venezuela. In Myanmar l’Unione battista ha dovuto cercare non solo altri modi di fare il culto quando i culti online erano soppressi dal colpo di stato, ma anche modi di partecipare alla protesta contro il golpe stesso.

Riflettendo sulla situazione che poi si è venuta a creare, viene posta la domanda, la chiesa sta in mezzo a una crisi o la crisi sta in mezzo alla chiesa? Meglio, la crisi prodotta dalla pandemia è qualcosa di esterno alle chiese alle quali le chiese rispondono, oppure la pandemia ha piuttosto messo in evidenza che le chiese stesse sono in crisi?  Forse la pandemia ha fatto vedere alle chiese qualcosa che non volevano vedere prima. Ed è proprio su questo che vorrei riflettere stamattina.

Quando parlo di chiesa parlo di una realtà istituzionale cattolica o protestante che sia. Poiché a noi interessa il protestantesimo chiediamoci, le chiese, quella battista, metodista, valdese, luterana sono in crisi? Da anni si parla del declino del protestantesimo storico e dell’incapacità delle chiese – la cui organizzazione è rimasta pressoché uguale da 500 anni – di intercettare i bisogni della nostra epoca. Il fatto che la chiesa ha difficoltà ad intercettare “i giovani”, per esempio, non è un problema di Cagliari ma è un fatto diffuso in tutta l’Europa, e ha a che fare con una società radicalmente cambiata.

Ciò che emerge da questa raccolta è che rispondendo alla pandemia le chiese hanno scoperto delle risorse inaspettate e hanno attivato una creatività che è rimasta assopita per troppo tempo. E come se si fossero risvegliate dopo un lungo sonno. Quindi, la domanda da porci non è tanto come rispondere alla pandemia bensì come essere chiesa nel mondo globalizzato. Quale chiesa per quale futuro? Infatti, all’inizio di ottobre le chiese BMV si vedranno online per discutere la domanda “quale formazione per quale chiesa?”

All’inizio del libro degli Atti, lo Spirito promesso viene sparso sui primi discepoli e discepole riuniti a Gerusalemme. Per spiegare l’accaduto Pietro citando il profeta Gioele, dice che “i vostri giovani avranno delle visioni e i vostri vecchi avranno dei sogni.” La discesa dello spirito inaugura una fase del tutto nuovo nell’annunzio del vangelo cominciato da Gesù. Infatti, il Gesù risorto affida la sua missione ai suoi seguaci. Per compierla, hanno bisogno di sognare il Regno che viene, di avere delle visioni coraggiose, di attivare tutta la loro creatività.  Esattamente come dovremmo fare noi per immaginare una chiesa   in grado di compiere la sua missione in un mondo globalizzato e speriamo post-pandemico.

L’Unione battista italiana ha prodotto – come sapete – un documento sul compito che le spetta, partendo dalle strutture e regolamenti che abbiamo.  Ma se le strutture e regolamenti che danno forma alle chiese come le conosciamo non fossero più idonee, anzi facessero parte del problema? Stamattina vorrei invitarvi a sognare, a pensare e immaginare al di fuori degli schemi. Ovvero cominciamo, come quel primo giorno della Pentecoste ex novo. Geremia, vi ricordate fu inviato a fare due cose, a sradicare e demolire e a costruire e a piantare. Noi non dobbiamo demolire niente, perché stiamo ipotizzando che le chiese si sono abbattute da sole, ovvero a forza di dormire sono diventate obsolete. Ma se vogliamo piantare e costruire, come fare? Che cosa rende una chiesa una chiesa? Gli stabili, gli ordinamenti, i ministri, le attività consolidate? Certamente no. Se torniamo all’essenziale, scopriamo che la chiesa per essere tale ha bisogno di solo tre caratteristiche. Elementi che possono essere declinati in mille modi ma senza le quali una chiesa non è chiesa.  Quali sono?

Il primo è ovvio, come abbiamo visto qualche domenica fa, la chiesa è un’assemblea di persone, e questo significa che la chiesa mette insieme le persone. A dire il vero è Dio che ci convoca. In Atti, ognuno risponde per conto suo all’annuncio di Pietro, ma se quella risposta è positiva si aggiunge al movimento che Gesù aveva già creato. “Quelli che accettarono la sua parola furono battezzati e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone”. L’aspetto comunitario della fede cristiana è fondamentale. Gesù iniziò la sua missione chiamando un gruppo di uomini e di donne per camminare con lui e gli uni con gli altri, per imparare insieme a Gesù e gli uni dagli altri. Come noi diventiamo persone stando in relazione con altre persone, diventiamo discepoli e discepole di Cristo aiutandoci e sostenendoci a vicenda. La chiesa è chiamata a praticare la vita che Gesù ha incarnato, radicata nell’amore nelle sue diverse sfumature. Andavano insieme nel tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme.

Diciamo subito che la natura comunitaria della chiesa è uno degli aspetti che oggi pone più problemi. In una società iperindividualista come la nostra  non vogliamo appartenere a un gruppo. Vogliamo costruirci una spiritualità individuale, venire in chiesa per captare ciò che ci serve senza contribuire niente, senza prenderci delle responsabilità. Ma poiché l’aspetto comunitario della chiesa è fondamentale, la domanda diventa: quali forme di vita comunitaria rispondono alle esigenze di oggi? Come abbiamo imparato, possiamo stare insieme anche stando a distanza, l’importante è di trovare modalità di incontro e di comunione atte al 21° secolo.

Non c’è chiesa, quindi, senza assemblea, senza comunione tra persone. Ma ovviamente non ci incontriamo così, per caso. Possiamo incontrarci all’aperto, al bar o al parco o persino in un drive-in come hanno fatto in Australia durante la pandemia, ma il motivo dell’incontrarsi è uno  solo,  Gesù. Una chiesa è l’assemblea riunita nel nome di Gesù. È la sua presenza – dove due o tre sono riuniti nel suo nome – che caratterizza una comunità come chiesa. Dopo aver spiegato il dono dello Spirito Pietro esordisce “Ascoltate queste parole! Gesù il Nazareno uomo che Dio ha accreditato fra di voi…” e termina “Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù.” Ciò che ci unisce, non è l’eventuale simpatia, né l’avere degli interessi in comune ma è l’esserci affidati a Gesù nostro maestro, nostra guida, Signore e salvatore. Ed è il suo spirito che ci permette di vivere come egli ci ha insegnato, che rende possibile lo stare insieme a partire dalla riconciliazione, dal perdono, dalla misericordia e l’amore.

Come vediamo già dal primo sermone di Pietro, Gesù lo conosciamo attraverso le sacre scritture. Infatti, lo Spirito viene dato per permettere a uomini e donne di profetizzare, ovvero proclamare la Parola del Signore a partire dalle scritture nelle circostanze dell’oggi. Perciò le risposte delle chiese partono sempre da una parola delle scritture che è stata compresa   alla luce della pandemia. Riuniti nel nome di Gesù la chiesa “persevera nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna”. Ma questa non vuole dire necessariamente uno studio biblico in presenza ogni giovedì alle 18.30. Come abbiamo scoperto, possiamo incontrarci intorno alla parola anche a distanza, anche in zoom o in piccoli gruppi nelle case. Se una comunità non s’incontra nel nome di Gesù e se non si dedica all’ascolto della sua Parola, non è chiesa. Ma poco importa il modo o i modi in cui lo fa. Anzi la chiesa deve trovare il modo per far arrivare la parola al maggior numero di persone, diversificando il suo approccio se necessario. Lo Spirito viene dato in modo che i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, e ci vuole la sua forza dirompente per insegnarci nuovi linguaggi e nuove modalità.

La comunità che si riunisce nel nome di Gesù e nell’ascolto della sua parola non esiste per sé stessa, però. La terza caratteristica della chiesa è la solidarietà dentro e fuori la comunità. “Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune, vendevano le proprietà e i beni e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” Più in là si dice “che non era nessuno bisognoso tra di loro” e al capitolo sei scopriamo come la chiesa a Gerusalemme si è organizzata per garantire il sostentamento alle persone economicamente fragili come le vedove.

La chiesa non esiste per sé stessa, ma per gli altri e le altre, per il mondo che è chiamato a servire, esattamente come Gesù si è prodigato in “opere potenti, prodigi e segni” di guarigione e di cura. In modo che il vangelo diventi davvero buone notizie per i poveri e porti la liberazione agli oppressi. Come la chiesa debba essere un anticipo del Regno nel suo modo di stare insieme, così deve anticipare il regno nel suo modo di porsi verso altri soprattutto vero i settori più vulnerabili della società.

Perciò durante la pandemia le chiese in tutto il mondo si sono ingegniate non solo a tenere i loro culti o riunioni di preghiera on line ma ad portare avanti azioni concrete di solidarietà verso le tantissime vittime del lockdown. Moltissime chiese hanno distribuito cibo alle persone e a famiglie povere, un’associazione regionale battista nelle filippine per esempio ha aiutato con dispositivi medici, cibo, alloggio e denaro chiese, pastori, operatori sanitari, bambini e bambine in lockdown cristiani e musulmani. E ricordiamo che durante la pandemia le ingiustizie che affliggono il nostro mondo non spariscono anzi peggiorano. Perciò la FCEI ha aperto campagne di solidarietà con i rifugiati intrappolati e dei corridoi umanitari dall’Afghanistan. Ma sapete benissimo di cosa sto parlando, una chiesa si qualifica come chiesa attraverso azioni pratiche di solidarietà.

Oggi siamo tornati all’essenziale. Abbiamo individuato gli elementi fondamentali della chiesa, che fanno sì che la chiesa, l’assemblea, sia chiesa e non qualcos’altro. Non bastano una o due di queste caratteristiche, ci devono essere tutte tre. Come vedete, sono cose che la chiesa deve fare. Stare insieme, nel nome di Gesù, per condividere con altri e altre ciò che ha.  Il NT ha una parola per ognuna di queste attività, koinonia o comunione, lo stare insieme, kerygma, l’annuncio della Parola che è Gesù il Cristo, diaconia l’aiuto, la condivisione, il servizio e la solidarietà. Il modo in cui faccia queste tre cose è condizionato da tantissimi fattori, le sue circostanze geografiche, storiche, economiche. Nel NT troviamo  alcune delle modalità in uso nel primo secolo, sono delle indicazioni che funzionavano allora, che lungo i secoli si sono evolute, e che forse cominciamo a capire non funzionano più, non fanno ciò per il quale furono pensate.

Rispondendo alla pandemia le chiese hanno scoperto di avere delle risorse, delle capacità, della creatività, dell’inventiva che hanno taciuto a lungo. Sembra che si stiano svegliando dopo un lungo sonno e stanno comprendendo che la crisi non è tanto all’esterno quanto all’interno. La chiesa e le chiese come forme istituzionalizzate della fede cristiana sono in crisi. La risposta, però, non è di abbandonare la chiesa come molti stanno facendo, né di portare piccole aggiustatine a strutture e sistemi chiaramente obsoleti. La risposta, vorrei suggerirvi stamattina, è di re-immaginare la chiesa ex novo. Di spenderci in una altra forma di chiesa e altre modalità che rispondono efficacemente ai bisogni della nostra epoca. Sono solo tre le cose da tenere unite, lo stare insieme. La koinonia, intorno all’annuncio della parola che è Gesù il Cristo,  il kerygma, condividendo ciò che abbiamo dentro, e fuori la diaconia.

Per farlo nel XXI secolo abbiamo bisogno di giovani e vecchi, uomini e donne che profetizzino, che sappiano sognare e che abbiano delle visioni. In altre parole, abbiamo bisogno della potenza dall’alto, che apra la nostra mente e sproni la nostra fantasia, che ci dia  linguaggi inauditi e un’energia del tutto nuova.

Elizabeth E. Green

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Un commento

  1. Molto interessante… in relazione all’incontro del 2/10 penso che la chiesa, la formazione, dovrebbe anche indirizzarsi all’ascolto di quelle persone che non vediamo ma che on line ci seguono. Ovvero come la comunità si rapporta a questa parte di realtà e come ne tiene conto.

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