“Salvare il Natale”

 

13 Or uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14 Ma Gesù gli rispose: «Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?» 15 Poi disse loro: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall’abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita». 16 E disse loro questa parabola: «La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; 17 egli ragionava così, fra sé: “Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?” E disse: 18 “Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, 19 e dirò all’anima mia: ‘Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti'”. 20 Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?” 21 Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio».

Lc 12, 13-16

5 Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 6 il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 7 ma svuotò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 8 trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.

Fil 2, 5-8

 

Come tutti voi sapete, in queste ultime settimane il governo ha introdotto delle nuove regole per cercare di ridurre al minimo la diffusione del Covid.  “Così – ha detto il Presidente del Consiglio – salviamo il Natale e evitiamo le chiusure”. Quando ho sentito “così salviamo il Natale” frase riportata dai giornali e telegiornali “, ho fatto un sussulto. Perché? Perché secondo le Scritture e il cristianesimo che le segue, il Natale è l’inizio dell’ultimo atto  di salvezza che Dio sta portando avanti col mondo.  Draghi vuole salvare il Natale senza rendersi conto che Natale esiste per salvare noi.

“Infatti -, leggiamo in Giovanni – Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. E a Natale, come tutti sanno, ricordiamo il modo in cui Gesù è stato mandato nel mondo. Così l’angelo dopo aver annunciato a Giuseppe che la sua fidanzata Maria aspetta un bambino gli dice “Tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati”. Il nome del bambino cui nascita celebriamo a Natale significa Dio salva!

Dai primi capitoli dei vangeli, dunque, la nascita di Gesù viene annunciata come la nascita del Salvatore. “Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele perché ha visitato e ha riscattato il suo popolo”, dice Zaccaria, “ci ha suscitato un potente Salvatore…come aveva promesso da tempo per bocca dei suoi profeti, uno che ci salverà dai nostri nemici e da tutti quelli che ci odiano” (Lc 2,69). La nascita di Gesù   viene presentata come l’adempimento definitivo della promessa di salvezza, che partendo dalla Genesi arriva fino a noi.  Tant’è che ai pastori la sua nascita viene annunciata così, ‘Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà. “Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore, che è Cristo, il Signore”.

Adesso capite perché ho fatto un sussulto quando Mario Draghi ha detto che bisogna “salvare il Natale”. Come può un governo salvare una salvezza che Dio ci offre? È il Natale che ha bisogno di essere salvato o non siamo piuttosto noi e il mondo intero

È ovvio che quando Mario Draghi dice “così salviamo il Natale” non si sta riferendo alla festa in sé, non sta pensando alla sua vera ragion d’essere, non sta pensando alla nascita di un Salvatore che vuole operare una radicale conversione nel nostro modo di essere, e riconciliarci con il nostro Creatore fonte di tutto ciò che è. Lo scopo del governo è ben più modesto: vuole “evitare le chiusure”, soprattutto nelle ultime settimane prima del 25 ovvero quando “schizzano i consumi”. Ovviamente lo avevamo già capito, l’intenzione del governo è di salvare tutto ciò che la società Occidentale, ha costruito intorno al Natale. Uno stile di vita basato sui consumi, modello che ha esportato al mondo intero. In parole povere, il governo vuole salvare semplicemente lo shopping, perché la gente continui a comperare cose di cui nessuno ha veramente bisogno, perché continui ad andare in vacanza spendendo in trasporti e alberghi, che continuiamo a vederci intorno a tavole imbandite di cibo di cui siamo assuefatti. Salvare il Natale significa salvare i consumi e quindi – seguendo questa logica – salvare la produzione e salvando la produzione salvare i posti di lavoro.

Non è qui il luogo di fare una critica a questa impostazione dell’economia alla quale finora l’Occidente non ha trovato alternative, salvo per dire due cose: la prima è che questa logica della crescita del guadagno attraverso la crescita del consumo non sta salvando il mondo ma lo sta gettando nel baratro. La terra semplicemente non può sostenere uno sviluppo economico basato sull’arricchimento di una parte della popolazione perché produce l’impoverimento dell’altra parte e della terra tutta. Un’economia di questo tipo semplicemente non è sostenibile e il cambiamento climatico ne è la prova. Il paradosso è che il tentativo di Draghi    significa non salvare il mondo che Gesù è venuto a salvare bensì l’esatto contrario, contribuire alla sua perdizione.

Ma c’è un altro motivo perché un Natale di questo tipo non va salvato. Perché parte da una concezione errata dell’essere umano e della sua felicità.   Ritiene che la felicità umana provenga dalla quantità di beni di cui si circonda. Più beni, oggetti o servizi che possiede, maggiore è la sua felicità.  Anzi, l’atto stesso di comperare è talvolta indicato come una terapia, se sei giù di corda, va’ a comperarti qualche ninnolo. Vuoi mostrare a te stessa e alle altre quanto vali? Vai a comperarti un vestito firmato. Vuoi far vedere il tuo successo a te stesso e agli altri? Acquista una macchina di grossa cilindrata e via dicendo. Questo è il vangelo che ci viene annunciato dalla nascita.  Impariamo a riempire il vuoto che ognuno e ognuna sperimenta dentro di sé con degli oggetti.

Se volessimo veramente salvare il Natale, ovvero comprendere davvero la festa che le chiese celebrano il 25 dicembre, faremmo esattamente il contrario. Qualche anno fa vinse l’oscar per il miglior film straniero un film colombiano, El abrazo della serpiente, che potete vedere su Amazon prime. Un indigeno accompagna un esploratore americano nella giungla amazzonica. Sono alla ricerca di una pianta rarissima dalle proprietà mistiche, ma il viaggio attraverso la giungla è molto difficoltoso. L’indio è pressoché nudo, con poco più di una sua collana addosso. L’americano, invece, è ovviamente vestito, e porta con sé una serie di oggetti, la macchina fotografica, un quaderno, una mappa, un paio di valigie e una misteriosa scatola nera. La canoa sulla quale stanno viaggiando rischia di affondare da un momento all’altro. Così a un certo momento l’indio spiega il problema all’ americano, “Siamo troppo pesanti”, dice, “quegli oggetti ci trascineranno giù” A un certo punto si rifiuta di andare avanti pagaiando se l’americano non sene libera “Getta via il tuo bagaglio” gli dice. Con molto male in cuore l’americano – che siamo tutti noi – butta le valigie nel fiume. Rimane, però ancora la pesante scatola nera. L’indigeno la guarda senza pietà. “E che cos’è questa?” gli chiede. Questa non la butto, dice l’americano. A cosa serve? L’esploratore l’apre e spiega che è un grammofono e lo carica – siamo in mezzo dell’Amazzonia non so se mi spiego – e questi comincia ad ascoltare un disco di musica classica. L’indio è allibito. Quando ascolto questa musica, dice l’americano, penso alla casa del mio padre a Boston. Sei in mezzo alla giungla, stai rischiando la tua vita per una ricerca della massima importanza e ogni tanto ti fermi per ascoltare un pezzo di musica classica. Bisogna lasciare tutto alle spalle, dice l’indio; bisogna ascoltare davvero.

È una bellissima parabola della nostra società, rischiamo di naufragare a causa delle cose che ci portiamo dietro. Rischiamo di non ascoltare le persone e la natura intorno a noi perché abbiamo le cuffie. Come dice Gesù, abbiamo occhi ma non vediamo, orecchie ma non udiamo.  In queste domeniche di avvento abbiamo ascoltato la voce dei profeti che annuncia un Dio che viene per salvarci. Non viene con la forza dell’esercito né con tutto l’apparato del potere politico, non viene facendo chiasso e attraendo folle o accumulando like.  Viene in modo nascosto, in maniera umile, adeguandosi alla fragilità e vulnerabilità umana. Nasce appunto bambino, da una giovane di nome Maria come ce n’erano tante all’epoca in Israele. Nasce in un paese periferico, e poiché non c’era posto per la famigliola nell’albergo, il bimbo appena nato viene posto a giacere in una mangiatoia. Questo è Gesù, il Dio che salverò il popolo dai loro peccati.

Per venire in questo modo Dio doveva spogliarsi di tutto ciò che a ragione o a torto noi attribuiamo alla divinità. La salvezza nasce, possiamo dire, da una rinuncia. Tant’è che ai Filippesi l’apostolo Paolo scrive che Cristo Gesù, pur essendo in forma di Dio non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso. La salvezza, dunque, parte da un atto di spoliazione. La parola è veramente svuotarsi, Gesù si svuotò. Degli orpelli che portiamo fuori di noi e delle idee e pregiudizi che abbiamo accumulato dentro. E questo atto che fornisce la chiave alla storia di Natale e alla salvezza che ci porta.

Come abbiamo visto, la società del consumo ci insegna a salvarci riempendo il vuoto. Comperando, acquisendo finché per un momento illusorio ci sentiamo soddisfatti, finché la fame di qualcos’altro non ci attanaglia. Natale, invece, ci insegna l’esatto opposto ovvero che la salvezza non arriva accumulando ma eliminando, viene attraverso il vuoto. Perciò al giovane ricco che aveva osservato tutti i comandamenti e pensava così di essere pieno di ubbidienza, Gesù aveva detto di spogliarsi dei suoi beni “una cosa ti manca! Va e vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e mi segui”. E perciò quando alcuni bisticciavano su un’eredità Gesù li mette in guardia “State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall’abbondanza di beni che uno possiede, che egli ha la sua vita”.

Siamo tutti, in qualche modo, come l’esploratore americano che viaggia con le sue valigie e grammofono in mezzo all’Amazzonia. I nostri bagagli – i beni materiali, le idee consolidate, i pregiudizi accumulati, sono decisamente troppo ingombranti per la fragile canoa sulla quale stiamo navigando. L’unica speranza di salvezza è fare come ha fatto Gesù, gettare i nostri bagagli, anche quelli più preziosi. Il grammofono portava l’esploratore altrove impedendolo di ascoltare i segnali che proveniva dall’’ambiente in cui viaggiava, impedendolo di ascoltare la voce che gli indicava la strada. Anche noi siamo così distratti che non ascoltiamo né il grido del mondo e né la voce dell’angelo che annuncia “Oggi, nella città di Davide è nato per voi un Salvatore”.

Salvare il Natale significa questo, non cercare forsennatamente di riempire il vuoto, ma tutto il contrario, svuotare il pieno, ovvero aver lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio si spogliò se stesso prendendo forma di servo. Se non lo diciamo e non lo facciamo noi che confessiamo il suo nome, come si farà a salvare il Natale?

 

Elizabeth E. Green

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