Cagliari e Sulcis Iglesiente
La trasmissione delle fede
Alla fine del vangelo di Giovanni, si spiega perché è stato scritto 30 Or Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri segni miracolosi, che non sono scritti in questo libro; 31 ma questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome. L’idea è chiara, il vangelo è stato scritto per conservare aspetti della vita di Gesù, soprattutto i segni che aveva compiuto, in modo che coloro che lo ascoltassero o lo leggessero “avessero vita nel suo nome”. Aver messo nero su bianco assicura che il vangelo non vada perso e possa essere trasmesso ad altri. Luca dice qualcosa di simile. Di Gesù nessuno avrebbe saputo niente se i primi testimoni non avessero tramandato i fatti che diventando narrazioni coerenti Luca ha consultato per scrivere il suo vangelo. Perché? Per permettere a Teofilo di riconoscere la certezza delle cose che gli erano state insegnate. I vangeli, dunque sono state scritti per assicurare che la storia di Gesù non andasse persa, non per conservarla chiusa in un cassetto ma per trasmetterla ad altri. Infatti, la parola vangelo si riferisce tanto al testo scritto quanto al suo contenuto, la storia deve diventare annuncio o buona notizia. In altre parole, senza un supporto solido, materiale – la trasmissione della fede sarebbe impossibile. Ma senza la trasmissione della fede, il supporto solido, che siano pergameni, manoscritti, libri, cellulari sarebbero tutti inutili. Anche l’antico Israele trasmetteva la fede nello stesso modo. I dieci comandamenti, per esempio, furono scritti dagli inizi su tavole di pietra che furono conservate nell’arca. Le tavole non erano conservate come ricordo del tempo che fu ma le leggi che contenevano venivano lette, insegnate e riproposte al popolo. Israele sapeva che la sua sopravivvenza dipendeva dalla capacità di trasmettere la sua storia, soprattutto alle generazioni giovani. Perciò aveva istituito delle occasioni in cui la storia di Israele veniva raccontato ai ragazzi e alle ragazze. La Pasqua, per esempio. 24 Osservate dunque questo come un’istituzione perenne per voi e per i vostri figli. 25 Quando sarete entrati nel paese che il SIGNORE vi darà, come ha promesso, osservate questo rito. 26 Quando i vostri figli vi diranno: “Che significa per voi questo rito?” 27 risponderete: “Questo è il sacrificio della Pasqua in onore del SIGNORE, il quale passò oltre le case dei figli d’Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case“». In questo modo si aggiunge al racconto un rito, qualcosa da ripetere ogni anno per ricordarlo. Come noi, Israele, guardava in avanti verso il futuro. Ed era in vista di quel futuro che conservava il passato, narrandolo sempre di nuovo, in modo che le nuove generazioni avessero vita nel nome del Dio liberatore. Penso che riusciamo a comprendere questa dinamica, perché come chiesa anche noi abbiamo conservato un gran numero di testi scritti una vera e propria biblioteca. La base di questa raccolta è la biblioteca personale del pastore Mollica che fu donata alla comunità. A questi volumi sono stati aggiunti molti altri provenienti dalla casa di Simonetta e Gigi. Altri libri sono dati in occasione di eventi organizzati dalla comunità in modo che questa raccolta, insieme ai documenti dell’archivio raccontano anche i 144 anni di vita della chiesa. Timoteo, giovane collaboratore dell’apostolo Paolo ci offre un esempio di questo duplice processo di conservazione, da una parte e di trasmissione, dall’altra. Timoteo apparteneva alla generazione successiva a Paolo tant’è che l’apostolo lo chiamava “il mio figlio nella fede”. Era giovane cosicché Paolo gli scrive “Nessuno disprezzi la tua giovane età”. Secondo le scritture, Dio ha un debole per le persone giovani, Davide, Maria, Geremia erano tutti adolescenti quando furono chiamati dal Signore. Samuele era forse ancora più piccolo. Lo stesso Gesù, vi ricordate, voleva che i discepoli lasciassero venire da lui bambini e bambine. Anche se Paolo chiamava Timoteo suo figlio, sappiamo che il ragazzo, era di fatto figlio di Eunice a nipote di Loide. Anzi, erano state queste due donne, ad aver trasmesso la fede a Timoteo “Ricordo infatti la fede sincera che è in te, la quale abitò prima in tua nonna e in tua madre Eunice, e sono convinto abita pure in te” scrive l’apostolo e poi dice a Timoteo di- perseverare nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza, sapendo da chi le hai imparate, 15 e che fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù. Le prime persone ad aver trasmesso le scritture a Timoteo, quindi, erano sua madre e sua nonna. E la stessa cosa potrebbero dire sicuramente alcuni di noi. Ma le cose non si fermano lì. Timoteo stesso viene esortato a trasmettere a sua volta il testo sacro, insegnando, predicando in ogni occasione favorevole e sfavorevole. “Le cose che hai udite da me..affidale a persone fedeli, che siano capaci di insegnare anche ad altri”. Timoteo, dunque, si trova ad essere un anello importante in una catena di testimoni. Chiamato a trasmettere il vangelo ad altri in modo che loro lo tramandano a loro volta. Vediamo, quindi, che conservare la fede, “custodirla” per usare la frase che troviamo in queste lettere e trasmetterla vanno mano nella mano. E come abbiamo visto all’inizio sono le scritture a rendere possibile la fede questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome. Fin qui abbiamo visto due modi in cui la fede viene trasmessa. Il primo è mediante l’insegnamento delle sacre scritture, ciò che Loide aveva fatto con Eunice e ciò che Eunice aveva fatto con Timoteo e ciò che Timoteo doveva con altri e altre. Il secondo modo di trasmettere la fede è attraverso dei riti che rappresentano i punti salienti della propria storia. Azioni simboliche che diventano occasioni per narrare elementi essenziali della relazione con Dio. Come Israele celebrava anno dopo anno la Pasqua, raccontando ai figli e ai nipoti la storia dell’esodo, così la chiesa celebra la cena del Signore, spezza il pane e beve dal calice per raccontare la morte e la resurrezione di Gesù. Paolo fa cenno anche a un terzo tipo di trasmissione, l’esempio. I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze imparano a partire dall’esempio dei grandi. D’altronde, non si può aspettare che bambini e bambine, i e le giovani facciano qualcosa che noi non facciamo né vogliamo fare. Timoteo viene esortato a perseverare nelle cose che ha imparato, perché, perché sa da chi le ha imparate. E poi viene esortato ad essere di esempio ai credenti, nel parlare, nel comportamento, nella fede, nella purezza. Essere d’esempio non vuole dire essere moralmente perfetti. Significa piuttosto essere persone autentiche, coerenti con le proprie scelte “Tu hai seguito da vicino il mio insegnamento, la mia condotta, i miei propositi, la mia fede, la mia pazienza, il mio amore, la mia costanza, le mie persecuzioni, le mie sofferenze, quello che mi accadde ad Antiochia, a Iconio e a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportate, eil Signore mi ha liberatda tutte”. Ecco l’esempio che Timoteo aveva ricevuto da Paolo! E tutto questo, ovviamente porta a noi. Porta alla conservazione della memoria mediante l’archivio storico e la biblioteca che stiamo organizzando ma porta anche alla sua trasmissione. La trasmissione, poi non è fine a sé stesso – cioè la sopravivvenza della chiesa – ma ha uno scopo ben preciso, trasmettere la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo. In altre parole, insieme al progetto di conservazione ci vuole un progetto di trasmissione in modo che il vangelo arrivi alle generazioni future. Generazioni che non contano necessariamente su nonne come Loide e mamme come Eunice ma hanno bisogno del sostegno della chiesa tutta. Come chiesa abbiamo cercato di accogliere la pandemia come occasione per metterci in questione e reinventarci. Velo ricorderete sia dal questionario sia dall’ultima assemblea. Abbiamo avviato un uso maggiore dei social e un progetto archivio e biblioteca. Senza un supporto solido il vangelo sarebbe andato perso. Ma i vangeli non servono si rimangono sugli scaffali. Perciò, insieme al progetto di conservazione ci vuole un altro progetto, altrettanto impegnativo, altrettanto creativo di trasmissione. A chi? Soprattutto alle generazioni future. A persone come Eunice e Timoteo, a Maria o a Samuele che a loro volta l’avrebbero trasmesso ad altre. Perciò, cari fratelli e care sorelle oggi vorrei invitarvi a riflettere sulla nostra responsabilità verso i bambini e le bambine, i giovani e le giovani che in qualcosa modo ci sono stati affidat*. In questi tempi difficili che speriamo siano l’inizio di tempi nuovi, come stiamo trasmettendo la fede alle generazioni future? Come insegniamo loro le scritture? Le risposte solite sono ancora valide? Sono adeguate? Che il Signore voglia aiutarci a rinnovare il nostro impegno in questo senso, affinché ancora oggi, quasi 2000 anni dopo che i vangeli siano stati scritti molti e molte, persone piccole e persone grandi credano che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiano vita nel suo nome
Grazie