Signore, Signore!

Non chiunque mi dice ‘Signore, Signore! Entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli

Mt 7,21

 

Domenica scorsa eravamo in pieno movimento, non solo per il culto speciale, non solo per la visita del Presidente, non solo per la chiesa piena ma perché la Parola, quella vicina a te nella tua bocca e nel tuo cuore si era messa in moto, viaggiando dal cuore alla bocca, dalla fede alla confessione di fede. È venuta, si può dire in superficie, “perché col cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati”. Oggi però, facciamo il movimento opposto: non dall’interno all’esterno bensì dall’esterno all’interno, dalla superficie in profondità.

Il vangelo di Matteo mostra Gesù come un nuovo Mosè, colui che aveva portato Israele fuori dall’Egitto, mediatore del patto che Dio strinse col popolo su monte Sinai. Quello, insomma che era sceso dal monte con le tavole della legge in mano. Così all’inizio di Matteo, anche Gesù fugge in Egitto da dove uscirà dopo la morte di Erode. Poco dopo lo troveremo su un monte ad insegnare ai suoi discepoli. In questo discorso lungo tre capitoli, Gesù mette il suo insegnamento e il suo messaggio in rapporto con le parole che Dio aveva pronunciato proprio tramite Mosè su un altro monte, il Sinai.                 Gesù esordisce così: Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento. Gesù, quindi, si colloca nel cuore di Israele e della sua storia testimoniata dalle scritture. Anzi, continua, se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei non entrerete affatto nel regno dei cieli. Gli scribi e i farisei, vi ricordate, insegnavano un’aderenza quasi ossessiva alle scritture e alle tradizioni da una parte, e un’ubbidienza rigida alla legge, dall’altra. Coloro che seguono Gesù li devono addirittura superare. Come?        Gesù, come propone di portare a compimento la legge data da Mosè su Monte Sinai? Lo vediamo nella prima parte del suo discorso dove in una serie di antitesi, mette in contrasto il proprio insegnamento con la legge di Mosè. “Voi avete udito che fu detto agli antichi: Non uccidere, chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale” Ma io vi dico chiunque si adira contro il suo fratello, sarà sottoposto al tribunale”. Oppure, “Voi avete udito che fu detto: Non commettere adulterio. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”.

Che cosa sta facendo Gesù? Sta dicendo che la legge – e qui cita due dei dieci comandamenti – rimane, si fa per dire, in superficie. Si rivolge all’atto che stiamo per compiere. Vorrebbe impedire l’azione che abbiamo deciso di eseguire. Secondo Gesù, però, il vero problema sta in profondità, dentro di noi.  Le nostre azioni sbagliate e malvage, l’uccidere, il commettere adulterio, il ripagare il danno occhio per occhio dente per dente nascono dentro di noi. Altrove, Gesù dice che il problema è quello che esce dall’uomo, perché è dal di dentro, dal cuore degli uomini che escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, frode e via dicendo. In altre parole, per portare a compimento la legge Gesù la radicalizza, va alla radice del problema e le radici non stanno in superficie bensì in profondità. Non l’uccidere, ma l’arrabbiarsi; non l’adulterio ma il guardare con desiderio.

A questo punto ci chiediamo perché Gesù fa la sua comparsa proprio in Israele e viene identificato con uno dei suoi personaggi maggiori, Mosè. Perché, come dice Giovanni “è venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto”? Gli uomini e le donne di Israele erano più malvagi degli altri popoli della terra? Il tasso di criminalità era forse più alto in Palestina che a Roma e le loro ingiustizie più grandi? Direi proprio di no.

Gesù è mandato “alle pecore perdute della casa di Israele non perché fossero peggiori di tutte le altre pecore del mondo. Anzi, potremmo dire proprio il contrario, Gesù si rivolge a loro proprio perché dicono di credere nel Dio dei padri e di seguire la sua legge. Gesù è mandato a loro a causa della loro confessione di fede, proprio perché sono religiosi! Infatti, se la prima parte del discorso mette l’insegnamento di Gesù in relazione con l’antica legge, la seconda parte denuncia il male che affligge le persone che cercano di seguire la legge, ossia l’ipocrisia. Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere osservati da loro… quando pregate non siate come gli ipocriti, poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze… quando digiunate, non abbiate un aspetto malinconico come gli ipocriti…

Anche qui vediamo come Gesù mette il dito nella piaga, il vero problema è che la pratica religiosa rischi di rimanere in superficie, rischia di essere una messa in scena, diventare superficiale. Non è un caso che nei vangeli Gesù si soffermi molto più sull’ipocrisia che non su peccati più vistosi come l’uccidere o il rubare. Qual è la soluzione? Gesù che cosa vuole che facciamo? Un viaggio dall’esterno all’interno. Dalla superficie alla profondità. Entrare nella cameretta, lavarsi la faccia, non fare sapere alla sinistra ciò che fa la destra. Per ben tre volte Gesù ci invita ad operare in segreto “e il Padre tuo, che vede nel segreto te ne darà la ricompensa”. Il guaio, la tentazione perenne dell’essere umano religioso, che sia nel tempio, nella moschea o nella chiesa è di fare valere la forma esteriore della sua fede a scapito della sua realtà interiore. Di volere apparire giusto senza fare le cose che veramente contano. È un pericolo che nell’epoca di Facebook, WhatsApp e Instagram si corre sempre di più. La foto diventa più importante dell’evento. Il post più importante della presenza. L’apparenza rischia di dominare la sostanza. Così alla fine del sermone, che è la parte che noi oggi abbiamo letto, Gesù riassume il suo insegnamento. Non chiunque mi dice: Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.         Il pensiero combacia esattamente col versetto che abbiamo citato domenica scorsa: “Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica. Le leggi, i riti, i battesimi, le confermazioni, la pubblica confessione della propria fede, i bei culti che possiamo fare non servono a niente, se non facciamo la volontà del Dio che è nei cieli. E questo il pericolo al quale ognuno e ognuna di noi nonché le chiese tutte sono esposte: dire, cantare, confessare Gesù come Signore ma non fare la sua volontà. I profeti antichi avevano già intravvisto questo pericolo e avevano denunciato l’osservanza ossessiva dei giorni, l’offrire smisurato dei sacrifici, l’attenzione maniaca ai dettagli   a scapito di ciò che veramente contava, “Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici? L’anima mia odia i vostri noviluni e le vostre feste stabilite, smettete di portare offerte inutili; imparate a fare il bene, cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”, dice Isaia.

Oppure, per farla breve: “Tutte le cose, dunque, che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro. Perché questa è la legge e i profeti”.

Domenica scorsa abbiamo visto che la Parola che è vicino a noi, nel nostro cuore debba uscire, debba fare un viaggio dal cuore alla bocca. Come Dio nel principio ha rotto il suo silenzio anche noi, quando nasciamo a Dio, rompiamo il nostro silenzio, perché con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. Ma come la pecora che esce dall’ovile esce per andare dietro Gesù, questo è solo l’inizio della storia, l’inizio del viaggio, viaggio che è irto di pericoli. E il pericolo maggiore, contro il quale Gesù ci mette costantemente in guardia è quello di rimanere in superficie, di fare della superficie la nostra dimora e di non scendere in profondità, di non fare nel segreto. Chi fa così, dice Gesù, è come la persona che costruisce la casa sulla sabbia, e purtroppo vediamo spesso che cosa succede alle case costruite su terreni inadatti, la sabbia e il terriccio se ne vanno, portati via dalla tempesta e la casa crolla. Non sono molto esperta di edilizia ma immagino che costruire una casa sulla roccia è molto più faticosa che non costruire sulla sabbia. Perché come nella sabbia ci si scava facilmente, per mettere le fondamenta nella roccia bisogna penetrare in profondità. Tuttavia, una volta messe le fondamenta nella roccia, la roccia le tiene ferme in mezzo alle intemperie che batteranno sulla casa.

Come Mosè, Gesù sale sul monte per dare un insegnamento al popolo, insegnamento non destinato ad abolire le antiche leggi ma a compierle. Come? Facendo sì che la nostra giustizia superi quella degli scribi e dei farisei che rimaneva in superficie senza scendere in profondità, trascurando l’essenziale. L’insegnamento di Gesù, l’essenza delle antiche tradizioni, è chiara: Tutte le cose, dunque, che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro. Perché questa è la legge e i profeti.

Come mettere in pratica questo comandamento, come fare la volontà divina? Sarebbe un’impresa destinata a fallire, come tutto sommato fallì l’impresa dell’antico Israele se Gesù non fosse mediatore di un nuovo patto, e di una nuova promessa. “Metterò dentro di voi il mio Spirito e farò in modo che camminerete secondo le mie leggi. (Ez. 36,27) È di questo cambiamento profondo nell’intimo che la settimana scorsa, Anna e Gianmario hanno testimoniato, confessando la loro fede. È in base a questa promessa che ancora oggi seppur con timore e tremore osiamo ancora dire “Signore, Signore”, cercando di fare la volontà del Dio che sta nei cieli e che ci ha parlato attraverso Gesù. Amen.

 

Elizabeth Green

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